Respinta la domanda di un lavoratore che chiedeva il riconoscimento della malattia professionale per le discopatie lombari multiple contratte nell’attività di muratore e manovale

Con l’ordinanza n. 23505/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un lavoratore che si era visto respingere dalla Corte di appello la domanda volta al riconoscimento della malattia professionale contratta nell’attività di muratore e manovale. Il Collegio territoriale, in particolare, pur dando atto della inclusione della patologia denunciata (discopatie lombari multiple) nelle tabelle allegate al D.P.R. n. 1124 del 1965, aveva ritenuto, tuttavia, che il lavoratore non avesse assolto all’onere di dimostrare di essere stato addetto alla lavorazione nociva, anch’essa tabellata e, specificamente a “lavorazioni di movimentazione manuale dei carichi svolte in modo non occasionale in assenza di ausili efficaci”.

L’allegazione dell’attore di “aver svolto attività lavorativa nel settore edilizio, dapprima con la mansione di manovale e successivamente come muratore … (che prevedeva) prevalentemente la posizione eretta e l’uso necessario di entrambi gli arti per sostenere e manovrare attrezzi da lavoro con movimenti continui che (avevano richiesto) un intenso stress e sforzo muscolare” non aveva trovato, secondo i giudici di secondo grado, il necessario riscontro processuale; non era stata articolata alcuna prova testimoniale e la conferma probatoria di quelle allegazioni non poteva desumersi dalla documentazione in atti di mera ricognizione formale della qualifica e neppure dal fatto notorio utilizzato invece dal tribunale.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva, che la Corte distrettuale avesse errato nel non considerare che, in caso di malattia tabellata, come quella diagnosticata al lavoratore, questi è onerato solo della prova di sussistenza della malattia e dello svolgimento di mansioni rientranti nell’ambito delle lavorazioni nocive tabellate; in presenza di tali presupposti, vige la presunzione legale sull’origine professionale della malattia, spettando all’INAIL di fornire l’eventuale prova contraria; rilevava che l’allegazione del lavoro svolto nel settore edilizio, come manovale e poi muratore, dal 1979, non era stata contestata dall’Istituto.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto inammissibile la doglianza proposta.

Sulla distribuzione degli oneri di prova, infatti, i giudici di appello si erano conformati ai principi enunciati in sede di legittimità secondo cui, in tema di assicurazione contro le malattie professionali, la riconducìbilità della patologia sofferta dal prestatore di lavoro alle previsioni di cui alla tabella n. 4 allegata al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 esclude la necessità di provare l’esistenza del nesso di causalità tra la malattia contratta e l’attività professionale svolta, mentre nel caso in cui la malattia non rientri nella previsione tabellare, oppure non vi rientri l’attività lavorativa svolta o non sussistano tutti i presupposti richiesti dalla tabella per far rientrare l’attività stessa all’interno della sua previsione, l’esistenza del nesso di causalità deve essere provata dal prestatore assicurato secondo i criteri ordinari. In caso di contestazione, l’accertamento della riconducibilità della malattia alla previsione tabellare costituisce un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito.

Nel caso di specie, la Corte d’appello non aveva addebitato al lavoratore oneri di prova che non gravassero sul medesimo, violando la presunzione legale posta dalla inclusione delle malattie e delle lavorazioni nocive nelle citate tabelle; bensì, aveva ritenuto sfornita di prova, di cui era pacificamente onerato il lavoratore, l’allegazione sullo svolgimento della lavorazione nociva (lavorazioni di movimentazione manuale dei carichi svolte in modo non occasionale in assenza di ausili efficaci); ciò in quanto, nell’esercizio del prudente apprezzamento degli elementi probatori, aveva giudicato inidonei al fine suddetto i documenti recanti la qualifica formale rivestita dall’appellato ed anche l’anamnesi lavorativa raccolta dal c.t.u., ed aveva valutato le lacune probatorie non colmabili attraverso il ricorso al notorio.

La redazione giuridica

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