Annullata la condanna del datore per l’infortunio occorso a un dipendente con la mansione di raccoglitore che aveva riportato un trauma cranico non commotivo in seguito a una caduta dal predellino

Era stato condannato in sede di merito alla pena di euro novecento di multa in relazione al reato di cui all’art. 590, commi primo e terzo, cod. pen., perché, quale titolare di una impresa individuale (esercente attività di raccolta e trasporto di rifiuti solidi urbani e del verde) nonché datore di lavoro, per colpa consistita genericamente in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché, specificamente, nell’aver omesso di formare adeguatamente un dipendente sui rischi per la salute e la sicurezza connessi con la mansione di “raccoglitore” e sulle corrette procedure di prevenzione e protezione (art. 37 D.Igs n. 81 del 2008), cagionava al predetto – che, mentre stava svolgendo la raccolta dei sacchi contenenti “il verde” e si trovava su uno dei predellini del veicolo con compattatore, mantenendo ribaltata la sponda sulla quale era posta la maniglia orizzontale per vincolarsi durante il tragitto e così aggrappandosi soltanto alla maniglia laterale verticale, a causa della curva intrapresa dal mezzo compattatore, perdeva la presa, cadendo al suolo – lesioni personali consistenti in “trauma cranico non commotivo, contusione, distorsione cervicale e frattura completa e composta del malleolo tibiale sinistro”, comportanti l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni.

Il Tribunale aveva descritto le modalità dell’incidente evidenziando che la caduta si era determinata, in quanto il lavoratore si era tenuto “aggrappato” ad una sola maniglia del camion (quella posta lateralmente) e non anche, come previsto, alla maniglia posta sulla parte posteriore in posizione più centrale, maniglia che in quel momento non era peraltro raggiungibile, in quanto il veicolo viaggiava con il portellone posteriore abbassato.

Dagli accertamenti del servizio di prevenzione infortuni sul lavoro della ASL era emerso che il lavoratore non aveva ricevuto nessuna formazione in materia di sicurezza e non aveva partecipato al corso di formazione organizzato per i neo assunti.

Il giudice aveva ravvisato in tale condotta dell’imputato la colpa specifica per violazione dell’art. 37 D.Ivo n. 81 del 2008, osservando che una formazione corretta era necessaria per evitare l’adozione di comportamenti imprudenti come quello tenuto dalla persona offesa al momento dell’infortunio (secondo il collega di lavoro alla guida del camion compattatore, al momento dell’infortunio la parte offesa stava utilizzando il telefono cellulare ed aveva deciso di tenere abbassata la sponda posteriore del camion sulla quale era collocata la seconda maniglia). Il giudice riteneva ininfluente la circostanza dello svolgimento da parte della persona offesa della stessa attività lavorativa anche per conto della società precedentemente titolare della gestione di quella stessa attività di raccolta rifiuti, essendo onere del datore di lavoro che assume un lavoratore alle sue dipendenze provvedere a informarlo e formarlo, a prescindere da pregresse esperienze lavorative, non potendo peraltro escludere carenze nella formazione pregressa.

La Corte di appello aveva confermato il giudizio di responsabilità datore, rilevando che, dalle testimonianze rese dal conducente dell’automezzo e da altri colleghi di lavoro, il lavoratore, al momento della caduta, era aggrappato al veicolo con una sola mano, con la quale si teneva alla maniglia posta sulla fiancata laterale del camion. La procedura corretta consisteva nel tenersi al veicolo con entrambe le mani, una alla maniglia sulla fiancata laterale, l’altra alla maniglia posta orizzontalmente nella parte posteriore del camion, sopra il portellone di carico/scarico rifiuti. Per potersi aggrappare a quest’ultima maniglia, occorreva però tenere il portellone chiuso, mentre al momento dell’incidente era aperto. Secondo quanto dichiarato dal teste, l’apertura del portellone era stata decisa dalla stessa persona offesa.

La colpa del datore pertanto consisteva non tanto nell’omessa adeguata formazione ed informazione del dipendente (che, al di là del dato formale, ben potevano ritenersi di fatto espletate, stanti la pluriennale esperienza lavorativa della persona offesa in quella stessa mansione e con quello stesso veicolo e l’estrema semplicità della mansione), quanto nell’aver consentito (se non addirittura favorito, per risparmio di tempo o per comodità del lavoratore) un comportamento scorretto e pericoloso nell’utilizzo del camion compattatore.

Invero, dalla testimonianza del precedente datore di lavoro della persona offesa, era emerso che, soprattutto nella raccolta di sfalci, lo sportellone era tirato giù dal raccoglitore per ragioni di comodità (facilitare lo svuotamento), quindi anche se non si trattava di una manovra corretta. Pertanto, mentre il camion viaggiava da un punto all’altro per raccogliere i rifiuti del verde, il lavoratore restava in piedi sul predellino posteriore e rimaneva di fatto aggrappato alla sola maniglia posta sulla fiancata laterale, rischiando di cadere, con condotta scorretta e pericolosa modalità operativa usuale e prevedibile.

La condotta della persona offesa, ancorché imprudente, era tutt’altro che imprevedibile o stravagante. L’imputato, in quanto titolare della posizione di garanzia riguardo l’incolumità fisica dei lavoratori, aveva il dovere di accertare il rispetto dei principi antinfortunistici, vigilando sulla sussistenza e sulla persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dai lavoratori il rispetto delle regole di cautela. L’omissione di tali controlli integrava l’addebito di colpa a suo carico.

Per quanto riguardava tale profilo di colpa, non specificamente contestato, la Corte territoriale aveva ritenuto che un profilo di colpa specifica diversa da quella contestata non determina nessuna violazione del principio di correlazione fra accusa e sentenza, posto che “nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 cod. proc. pen.

Il datore, nel ricorrere per cassazione, deduceva che la Corte d’Appello aveva sostituito il profilo di colpa originariamente contestato nella sentenza di primo grado (mancata formazione ed informazione del dipendente), individuandone un altro e, cioè, l’aver consentito (se non addirittura favorito, per risparmio di tempo o per comodità del lavoratore) un comportamento scorretto e pericoloso nell’utilizzo del camion compattatore. Il procedere con la sponda posteriore abbassata, impossibilitando l’utilizzo della maniglia ivi orizzontalmente posta, impediva di dare completezza alla corretta postura di sicurezza operativa. Dall’assunto della natura abitudinaria e della prevedibilità di tale comportamento scorretto e pericoloso era stata data piena riferibilità causale, nella produzione dell’evento, alla condotta del datore, omissiva nel vigilare sulla sussistenza e sulla persistenza della condizioni di sicurezza e nell’esigere dai lavoratori il rispetto delle regole di cautela. Per dare sostegno a tale affermazione, la Corte distrettuale aveva privilegiato un criterio di analisi “minimalista”, teso a cogliere e utilizzare elementi che, seppur pochi e datati, potessero rimarcare un’astratta sintomaticità della sussistenza in capo al prevenuto del “novellato” profilo di colpa. La Corte distrettuale aveva tratto la premessa del proprio assunto dalle dichiarazioni rese dalla teste, che, riferendosi alla temporalità della sua gestione aziendale, aveva dato contezza di una attività di raccolta rifiuti svolta procedendo a sponda posteriore abbassata, quindi in modo scorretto e pericoloso. Di seguito detta premessa maggiore era stata correlata con la premessa minore rappresentata dall’assenza di soluzione di continuità nella raccolta rifiuti a seguito della cessione, svoltasi nell’anno 2009, del ramo d’azienda dalla società del precedente datore alla ditta individuale dell’imputato, il quale aveva proseguito l’attività di raccolta con lo stesso mezzo e con lo stesso personale. Date le premesse, la Corte distrettuale era pervenuta alla conclusione, secondo cui anche la gestione del ricorrente sarebbe stata contraddistinta da una censurabile tolleranza di usuali modalità operative scorrette e pericolose.

Il conducente del veicolo compattatore al momento dell’infortunio della parte offesa ed unico, intellegibile ed attendibile testimone della vicenda, aveva dato obbiettiva chiarezza al determinismo dell’evento, meglio precisando: a) di condurre il veicolo compattatore nel corso degli spostamenti per la raccolta rifiuti controllando costantemente, con la telecamera di sicurezza e gli specchi retrovisori laterali, la posizione degli operai trasportati sui predellini posteriori; b) di avere notato dalla telecamera che la parte offesa si teneva aggrappata con la mano destra alla sola maniglia esterna sinistra, essendo impegnato nell’utilizzo del telefono cellulare; c) di avere per tale motivo interrotto la marcia, di essere sceso a terra e di aver rimproverato con forza il collega perché conversava al telefono; d) di avergli opposto la vittima un netto diniego a levare il telefono da mano; e) di avere contestualmente ripreso il lavoratore per avere egli abbassato la sponda posteriore; f) di avergli, anche in questo caso, opposto quest’ultimo un netto diniego, perché preferiva lavorare con tale modalità; g) di avere avuto dallo specchio retrovisore contezza visiva della caduta a terra della parte offesa, di avere immediatamente arrestati la marcia, di avere prestato soccorso al ferito e di avere notato come questi avesse ancora in mano il telefono, per poi posarlo in tasca; h) di avere sempre riferito al datore dei comportamenti scorretti e pericolosi tenuti dal dipendente e di avere sempre il datore rimproverato con energia il lavoratore.

La tesi accusatoria si basava su valutazioni di natura squisitamente deduttiva e non considerava i tratti rappresentativi del comportamento lavorativo della parte offesa e l’effettività dell’intervento del datore per esigerne il rispetto delle regole di cautela.

L’imputato non poteva seguire “passo passo” l’attività dei suoi dipendenti, ma, avuta conoscenza dei comportamenti scorretti di uno di loro, interveniva riprendendolo con energia. Ma la parte offesa era sempre stata sorda a qualsiasi disposizione, per cui continuava a telefonare a veicolo marciante e con la sponda posteriore alzata per sua autonoma e consapevole scelta. Si trattava, pertanto, di un comportamento connotato di caratteri dell’eccezionalità e dell’abnormità, di portata tale da rendere irrilevante qualsiasi altra causa preesistente, in quanto postosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 32066, nel dichiarare l’annullamento della sentenza impugnata per estinzione del reato dovuta a prescrizione, maturata nelle more del giudizio di legittimità, ha osservato come resti controverso in giurisprudenza il tema della possibilità di addebitare una culpa in vigilando in presenza di una manifesta pericolosità della condotta da parte di un dipendente che vanti una pluriennale esperienza lavorativa.

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