Il lavoratore infortunato deve provare l’inadempimento e il nesso di causalità materiale con il danno, ma non anche la colpa del datore di lavoro (Cassazione Civile, sez. lav., 5 aprile 2024, n. 9120).

La vicenda

La Corte d’Appello di Napoli ha accolto l’appello della società datrice di lavoro e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda dell’infortunato volta ad ottenere il risarcimento de danno differenziale conseguente all’infortunio avvenuto il 24 aprile 2012.

L’infortunato, con mansioni di autista, aveva allegato di essere caduto mentre effettuava il rifornimento di gasolio per il camion che aveva in dotazione; che la caduta era stata causata dall’intralcio costituito dal tubo di erogazione dell’impianto di rifornimento, sito presso la sede aziendale, mentre egli si trovava posizionato su una piattabanda collocata ad un livello inferiore rispetto al distributore.

La decisione dei giudici di Appello

I Giudici di Appello hanno ritenuto che le prove testimoniali, poste a base della decisione di accoglimento del ricorso da parte del Tribunale, non consentivano in realtà di ricostruire la dinamica dell’incidente poiché i testimoni non avevano assistito in maniera diretta al suo verificarsi ed avevano riferito unicamente di una caduta causata dal tubo di erogazione del carburante mentre la vittima riforniva l’automezzo, manovra che, come autotrasportatore, eseguiva ormai da molti anni. Inoltre, hanno dato atto che né dalle deposizioni testimoniali, né dal ricorso introduttivo del giudizio risultavano indicate le norme di prevenzione asseritamente violate dal datore di lavoro e che l’incidente era quindi da attribuire a negligenza e imprudenza dello stesso lavoratore.

La questione approda in Cassazione che accoglie le doglianze del lavoratore.

Il lavoratore deduce la violazione dell’art. 2087 c.c. e che l’infortunio era da attribuirsi alla esclusiva responsabilità del datore di lavoro per non avere apprestato le opportune misure di sicurezza nell’area di sosta dove è ubicato il serbatoio del gasolio per consentire il rifornimento dei mezzi.

La S.C. rammenta che l’art. 2087 c.c. è norma di chiusura del sistema di prevenzione e di sicurezza nel rapporto di lavoro e impone al datore di lavoro l’adozione di tutte le misure e le cautele atte a preservare l’integrità psicofisica dei lavoratori, tenuto conto delle caratteristiche concrete dei luoghi di lavoro e, in generale, della realtà aziendale.

Violazione dell’obbligo di sicurezza

Ergo, la violazione dell’obbligo di sicurezza imposto dall’art. 2087 c.c. è fonte di responsabilità contrattuale, conseguentemente “il creditore” (ovverosia, in questo caso, il lavoratore) deve provare l’inadempimento e il nesso di causalità materiale con il danno, ma non la colpa del datore di lavoro, operando la presunzione ex art. 1218 c.c., come impone la regola – appunto – della responsabilità contrattuale, a differenza di quella aquiliana.

Ciò posto, “l’onere di allegazione del lavoratore non può estendersi fino a comprendere anche l’individuazione delle specifiche norme di cautela violate, come preteso dalla Corte di merito, specie ove non si tratti di misure tipiche o nominate ma di casi in cui molteplici e differenti possono essere le modalità di conformazione del luogo di lavoro ai requisiti di sicurezza”.

Detto in altri termini, l’identificazione dell’inadempimento deve essere modulata in relazione alle concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l’esposizione al pericolo.

I Giudici di appello hanno errato ad addossare al lavoratore l’onere di dimostrare la colpa del datore di lavoro poiché egli aveva adeguatamente ed esaustivamente indicato lo stato dei luoghi aziendali, ed esattamente del distributore di carburante posto nel piazzale aziendale, ed aveva indicato l’esistenza di un dislivello tra il piano di calpestio e il distributore e la assenza di barriere protettive e di sistemi di riavvolgimento automatico della pompa, condizioni tali da rendere concreto il pericolo di caduta nell’esecuzione delle operazioni di rifornimento.

Avv. Emanuela Foligno

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