La domanda risarcitoria degli eredi del lavoratore deceduto viene respinta sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello per prescrizione del credito vantato. Anche la Suprema Corte conferma (Cassazione Civile, sez. III, 27/02/2024, n.5212).
I fatti
La Corte d’Appello di Salerno ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato, per prescrizione del credito vantato, la domanda risarcitoria proposta dai congiunti del lavoratore contro il datore di lavoro, per i danni non patrimoniali subiti in conseguenza della morte per infortunio sul lavoro avvenuta in data 4 settembre 1995.
I Giudici di Appello motivavano che, trattandosi di fatto considerato dalla legge come reato, ai fini del calcolo del termine prescrizionale occorreva aver riguardo alla norma di cui all’art. 2947, III comma, secondo periodo, c.c., a mente della quale, se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.
Nello specifico, il separato procedimento penale a carico del datore di lavoro si era concluso con sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425 c.p.p., divenuta irrevocabile in data 16 ottobre 2002. Il primo susseguente atto interruttivo è la notifica dell’atto di citazione del 3 dicembre 2008, oltre dunque il termine quinquennale decorrente dal 16 ottobre 2002.
Alla questione posta in Appello “se anche la sentenza di non luogo a procedere del GIP debba considerarsi, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2947, terzo comma, c.c. una “sentenza irrevocabile nel giudizio penale” viene data risposta positiva.
La Corte di Cassazione rigetta l’impugnazione
Viene lamentato che la sentenza penale di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. possa considerarsi sentenza irrevocabile agli effetti della richiamata norma del codice civile e che, pertanto, una volta che tale sentenza sia divenuta definitiva, il termine di prescrizione per il risarcimento del danno è quello quinquennale, e non quello più lungo decennale del reato astrattamente configurabile di omicidio colposo con decorrenza dalla data dell’ultimo atto interruttivo. Sostengono che la sentenza di cui all’art. 425 c.p.p. non rientra in quelle indicate dall’art. 648 c.p.p., dal momento che non è irrevocabile, ma solo stabile, nel senso che resta ferma fino alla sua eventuale revoca.
La S.C. ribadisce quanto già chiarito con riferimento alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., estensibile alla sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p.: “la ratio della previsione di cui all’art. 2947, terzo comma, c.c., va individuata nell’esigenza di evitare che un soggetto, condannato in sede penale a causa di un fatto produttivo anche di conseguenze risarcitorie civili, possa sottrarsi all’obbligo di risarcire il danneggiato lucrando il più breve termine imposto dalla norma del codice civile“.
In tale prospettiva, “il secondo periodo del terzo comma dello stesso art. 2947 c.c. riconduce ad armonia la disciplina escludendo l’effetto, più favorevole per il danneggiato, dell’applicazione del termine prescrizionale maggiore previsto per il reato nei casi in cui il procedimento penale non ha avuto un esito fausto per il danneggiato medesimo“.
In coerenza con tale ratio la disciplina in esame consente al danneggiato di fruire, ai fini dell’avvio o della prosecuzione dell’azione civile risarcitoria, del termine prescrizionale più ampio in caso, ovviamente, di condanna di controparte, nonché di estinzione del reato, ma solo per prescrizione, in nessun’altra ipotesi producendosi a favore del danneggiato effetti favorevoli in dipendenza della pendenza prima e della conclusione, poi, del procedimento penale per gli stessi fatti causativi di responsabilità civile.
Detto in altri termini, la ragione giustificatrice del maggior termine prescrizionale, pari a quella del reato, è la conclusione del procedimento penale con un esito almeno in parte favorevole o fausto per il danneggiato, il quale possa quindi invocare un accertamento quale quello sulla sussistenza degli elementi soggettivo e oggettivo del fatto-reato.
Avv. Emanuela Foligno