Il Tribunale Salerno sez. II condanna la ASL Salerno a corrispondere agli eredi della vittima un maxi risarcimento di oltre 1 milione di euro (18/10/2023).
La vicenda
Il giorno 19/3/2019 il paziente – soggetto diabetico (insulino-dipendente) e portatore di pregresso trauma toracico con fratture costali multiple e versamento pleurico – si ricoverava presso l’ASL Salerno, P.O. “Umberto I” di Nocera Inferiore, con diagnosi di ingresso di “ematemesi”.
Già dal 21/3/2019, presentava chiari segni di patologie infettive di origine nosocomiale in atto, riguardanti il tratto urinario e il sistema respiratorio, ma nonostante ciò non veniva sottoposto dal personale sanitario ai doverosi esami colturali.
Solo in data 30/03/2019 veniva sottoposto a terapia antibiotica empirica rivelatasi poi inefficace sino alla sua implementazione presso il Reparto di Medicina della stessa struttura.
Il successivo 20 aprile veniva trasferito presso il Presidio Ospedaliero “M. Scarlato” di Scafati laddove veniva riscontrata ulcera da decubito di 4° grado e successiva comparsa di uno stato settico. Nonostante ciò, i sanitari in servizio presso la struttura sanitaria non effettuavano alcuna consulenza infettivologica e non iniziavano tempestivamente alcun trattamento antibiotico empirico ad ampio spettro, avviandola solo quattro giorni dopo. Nei giorni successivi il paziente subiva un netto peggioramento del suo stato di salute nonché lesioni personali che peggioravano sempre più fino a provocarne il successivo decesso, avvenuto in costanza di ricovero il 14/5/2019.
La vicenda giudiziaria
La moglie del paziente deceduto (cui poi si aggiungono con intervento volontario altri eredi) ritiene che il decesso sia da addebitarsi per intero alla responsabilità del personale sanitario impiegato presso le strutture ospedaliere P.O. “Umberto I” di Nocera Inferiore e P.O. “M. Scarlato” di Scafati, il quale, con condotte connotate da grave difetto di diligenza e di perizia, non solo avrebbero cagionato le piaghe da decubito evolute in ulcera di 4° grado a causa dell’omessa adozione dei presidi obbligatori, ma avrebbero altresì predisposto cure e trattamenti tardivi e insufficienti rispetto al quadro clinico del paziente determinando altresì la comparsa di infezioni di tipo settico, non adeguatamente trattate e successivamente esitate nel suo decesso in corso di ricovero presso il P.O. di Scafati.
Si costituisce in giudizio la ASL Salerno, che contesta punto per punto le suddette deduzioni, deducendone l’inammissibilità nonché l’infondatezza nel merito ed insistendo perciò per il rigetto delle domande ivi avanzate. Sostiene, in particolare, la correttezza dell’operato dei sanitari operanti nelle strutture che ebbero in cura il paziente in considerazione del fatto che i relativi trattamenti venivano prestati secondo le linee guida vigenti nel settore di riferimento; evidenzia, inoltre, la prestazione da parte del paziente di un valido consenso informato ai trattamenti sanitari a cui veniva sottoposto in pendenza di ricovero, ed inoltre rimarca che i fenomeni infettivi occorsi in suo danno fossero da intendersi quali complicanze connaturate al ricovero e perciò connotate dal carattere della non prevedibilità e non prevenibilità da parte del personale operante.
Preliminarmente il Giudice evidenzia che l’esistenza del danno e del nesso di causalità è stata accertata dal CTU nel procedimento di ATP.
Al momento del decesso in data 14/05/2019, la diagnosi di exitus fornita era la seguente: “Setticemia in paziente con pregresso trauma toracico. Lesione da decubito 4° stadio regione sacrale. Sindrome nefrosica in insufficienza renale cronica. Diabete mellito tipo 2 in trattamento insulinico. Trait talassemico”. Sulla base essa, il CTU provvedeva quindi ad individuare, quale causa del decesso, la manifestazione a carico del paziente di una infezione sistemica di tipo settico, sulla base di una qualificazione tecnica del danno mai fatta oggetto di puntuale contestazione da parte dell’Azienda sanitaria e a concludere in termini univoci nel senso del riconoscimento di una responsabilità colposa dei sanitari del PO di Scafati nella gestione dei processi infettivi sopraggiunti nel corso del ricovero presso la predetta struttura del 20.04.2019.
Riferisce a tal proposito il CTU che “In occasione del ricovero presso il PO di Scafati la terapia anti-infettiva risulta inadeguata (soprattutto per dosaggi) e ritardata nonostante la presenza di elementi clinici e di laboratorio suggestivi per un processo settico”; inoltre, dopo aver evidenziato l’importanza, al fine di garantire la piena efficacia della terapia antibiotica, di un’adeguata prescrizione degli antinfettivi che “comprende diversi aspetti, tra l’altro: quelli correlati al paziente (caratteristiche del paziente che possono influenzare la terapia anti- infettiva), microbiologici (ad esempio la presenza o meno di profili di resistenza farmacologica che impone la scelta di un anti-infettivo, nella fattispecie di un antibiotico, piuttosto che un altro) e farmacologiche (caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche)”, il CTU prosegue la sua analisi osservando che “nel caso di specie, in occasione del rilevante episodio settico occorso durante il ricovero presso la lungodegenza del PO di Scafati, il dosaggio degli anti- infettivi prescritti – fluconazolo, piperacillina/tazobactam e teicoplanina – appare sottodosato” … Di talché, concludeva il CTU nel senso che “la condotta dei medici del PO di Nocera Inferiore e di Scafati è stato erronea ed improntata su negligenza e imprudenza in quanto – come ampiamente documentato nelle considerazioni medico legali – non prescrissero regime anti- infettivo appropriato”.
Ciò posto, pacifica la responsabilità dell’ASL, riguardo l’insufficienza del consenso informato, in effetti il Giudice dà atto che i moduli di consenso al trattamento inerenti al ricovero del 20/04/2019 presso il P.O. di Scafati, si presentano eccessivamente vaghi e scarsamente esplicativi rispetto alle possibili complicanze connesse alla terapia effettuata, ravvisandosi in essi solo un generico richiamo alle “possibilità di rischio connesso” privo perciò di qualsiasi indicazione ulteriore e specifica in merito alla natura e alle modalità di estrinsecazione del rischio medesimo, con conseguente impossibilità per il paziente di orientare le proprie scelte di cura in modo pieno e consapevole.
La quantificazione dei danni
Passando alla quantificazione dei danni, il Giudice dà atto che il paziente sia rimasto cosciente, vigile e consapevole delle proprie condizioni e liquida in favore degli eredi la somma di € 887,00 per il danno biologico sofferto, rivalutata all’attualità in € 1.024,49 oltre interessi dalla messa in mora sino al soddisfo.
A titolo di perdita del rapporto parentale, con l’utilizzo delle tabelle milanesi, vengono riconosciute le seguenti somme:
- alla coniuge T.A., la somma di € 279.295,00
- alla figlia M. M., la somma di € 188.440,00
- al figlio M. G.R., la somma di € 238.915,00
- alla figlia M. E., la somma di € 188.440,00
- al figlio M. F. P., la somma di € 299.485,00, per un totale di € 1.194.575,00.
Avv. Emanuela Foligno