Il ricorrente ha convenuto in giudizio la società datrice di lavoro per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa dell’infortunio sul lavoro che gli ha provocato il distacco delle dita della mano destra in data 1/02/2016 (Tribunale Venezia, sez. lavoro, Sentenza n. 647/2023 pubblicata il 26/10/2023).
La dinamica dell’incidente
In fatto il lavoratore ha così descritto l’infortunio per cui è causa: “Iniziato il turno di lavoro pomeridiano (introno alle 13:30 p.m.), riceveva ordine dal proprio capo squadra di effettuare la riparazione di un basamento per rotocella dell’impianto CDR. In particolare, su detto basamento dovevano essere ricostruite alcune parti, tra cui una cerniera, per permettere il normale funzionamento richiesto al basamento. (…)
Quel giorno all’interno dell’impianto CDR, ma non in officina, era presente anche un dipendente di Enel produzione SPA, il quale, tempo prima, aveva spiegato il livello desiderato di riduzione della spina. La cerniera era composta da tre cilindretti (supporti) saldati alla struttura del basamento, all’interno dei quali veniva inserita una spina, ossia un tondino di ferro pieno di 20 mm di diametro e 30 mm di lunghezza. (…)
La cerniera del basamento presentava problemi al meccanismo di apertura, per l’eccessivo spessore della spina. Pertanto veniva richiesto al lavoratore di ridurne lo spessore, con l’utilizzo del tornio (unico strumento presente ed a ciò deputato).
Egli si recava presso il tornio, serrava la spina nel mandrino, azionava il tornio, mettendolo in funzione e, con una lima lunga circa 40 cm – tentando, in qualche modo, di mantenere un certo distanziamento della mano dal macchinario – procedeva ad asportare il materiale in eccesso.
Terminata questa fase di lavorazione, veniva richiesta una ulteriore riduzione della spina. Il ricorrente, dunque, ritornava al tornio e riproduceva la lavorazione al tornio eseguita precedentemente, procedendo, però, ad una diversa finitura della spina, data da una tela abrasiva.
A tal fine, mantenendo lo stesso assetto, avvolgeva la spina nella tela abrasiva per mezzo giro, tenendo le due estremità con le mani, e quindi azionava il mandrino. Durante questa lavorazione, il guanto di protezione della mano destra si impigliava sul punto di contatto tela/spina, determinando il trascinamento e la rotazione della mano destra ed il distacco delle dita (IV e III dito mano destra) per trazione”.
La consulenza tecnica
La dinamica dell’infortunio descritta dal ricorrente viene ritenuta provata in quanto il CTU ha concluso nel senso che “Risulta (…) maggiormente compatibile con la descrizione delle lesioni, un infortunio conseguente a trazione esercitata dal tornio cui era addetto l’interessato, nel quale si è impigliato il guanto che il periziato indossava alla mano destra”. “La documentazione a disposizione, quindi descrive una ferita lacero-contusa che interessa la sede di amputazione del IV dito e in misura minore del III dito della mano destra. Tali caratteristiche, sono maggiormente compatibili con una lesione da strappo, quale può verificarsi nel caso di una violenta trazione sul dito.
Non vengono descritti i segni caratteristici di ferite da taglio o da fendente quale usualmente si verificano nel caso di lesioni da mola. Nelle ferite da taglio la lesione ha una maggiore estensione ed una minore profondità. I lembi sono netti e con scarsa infiltrazione. Sono inoltre presenti le “codette” all’estremità della ferita. Le lesioni da fendente, invece, si presentano con notevole estensione e profondità; i margini sono netti, diastasati, non vi sono lacinie cutanee, i tessuti molli circostanti risultano contusi.
Pertanto gli elementi tecnico-biologici a disposizione orientano verso una dinamica da “trazione” esercitata sul dito piuttosto che da taglio o fendente (…)”.
L’Ispettore dello Spisal ha sottolineato: “Questo tipo di infortunio al tornio è molto frequente. Si tratterebbe però di un uso improprio della macchina… Il tornio parallelo è un macchinario piuttosto grande a da una parte ha un mandrino dove viene bloccato il pezzo da lavorare e dall’altra parte un carrello porta utensile per avvicinare l’utensile al pezzo da lavorare, il lavoro sostanzialmente viene fatto dal tornio che fa ruotare più o meno velocemente il pezzo. L’uso proprio della macchina prevede che il mandrino sia protetta da una manicotto per cui una persona non può toccare un mandrino, se io faccio una lavorazione diversa devo rimuovere tutte le protezioni (…)“.
Le colpe del datore di lavoro
Il Giudice ritiene sussistenti indizi gravi precisi e concordanti per affermare che la colpa dell’infortunio sia da attribuire alla datrice di lavoro per non aver fatto tutto il possibile per evitare il danno ai sensi dell’art. 2087 e 1218 c.c.
È stato il capo squadra a ordinare al lavoratore infortunato di usare il tornio senza che lo stesso fosse stato adeguatamente istruito sul suo uso, ed in ogni caso per aver dato indicazioni non precise che lo avevano indotto ad utilizzare il tornio, pur essendo privo di formazione, ed infine per non aver adeguatamente vietato al ricorrente e vigilato affinché lo stesso non usasse il tornio in modo improprio.
Danno biologico e danno alla cenestesi lavorativa
Il CTU ha stimato, per quel che concerne il danno biologico temporaneo totale, che si è protratto per trenta giorni, cui andranno aggiunti ulteriori centoventi giorni di danno biologico temporaneo parziale al 75%, centoventi giorni di danno biologico temporaneo parziale al 50% ed infine centoventuno giorni di danno biologico temporaneo parziale al 25%.
Il danno biologico permanente è quantificabile nella misura del 18%. Il danno alla cenestesi lavorativa potrà essere risarcito mediante l’integrazione economica del punto percentuale di danno biologico permanente. Il grado di sofferenza patito dall’interessato è risultato di entità media per tutta la durata della malattia. Riguardo l’esistenza di un danno alla capacità lavorativa specifica del lavoratore, il CTU ha ritenuto che “non vi sia stato un vero e proprio danno alla capacità lavorativa specifica del periziato. Questi infatti, mantiene una piena funzionalità della mano sinistra e la mano destra seppur menomata è in grado di effettuare la presa grossolana e in misura impacciata e limitata anche la fine motricità. Pertanto, si è in presenza di un danno alla cenestesi lavorativa che potrà essere risarcito mediante integrazione economica del punto percentuale di danno biologico permanente”.
Conclusivamente al ricorrente viene liquidato l’importo di euro in €38.084 a titolo di danno biologico differenziale più €27.333 a titolo di danno biologico temporaneo complementare.
Avv. Emanuela Foligno