Marciapiede dissestato per mancanza di mattonelle e caduta del pedone (Cassazione civile, sez. III, 02/11/2023, n.30394).

Il danneggiato conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Sassari il Comune chiedendone la condanna al risarcimento dei danni (danno biologico da IP al 4% e da inabilità temporanea totale per 30 giorni e parziale per 60 giorni al 75% e per ulteriori 60 giorni al 50%; danno morale e spese mediche come documentati in atti), patiti a seguito di una caduta causata dal dissesto del marciapiede (per mancanza di mattonelle), non visibile né segnalato, in punto ove peraltro risultavano posizionati due tombini, talché si presentava insidioso per qualunque utente.

Il Tribunale di Sassari rigettava la domanda e condannava il danneggiato al rimborso in favore del Comune convenuto delle spese processuali, liquidate in complessivi 2.738 euro, oltre accessori di legge.

Il ricorso in Appello

Il soccombente interpone appello deducendo:

  • a) l’erronea valutazione della prova da cui poteva arguirsi, anche ex art. 2729 c.c., la dinamica dell’evento come da lui descritta in citazione e il nesso causale tra res, evento e danno;
  • b) l’omessa motivazione in relazione all’applicazione dell’art. 2043 c.c., posto che l’onere probatorio, che su di lui gravava (quale danneggiato) era stato assolto anche in relazione a tale disposizione;
  • c) l’erronea mancata ammissione della consulenza tecnica medico legale, che sollecitava anche in appello, al fine della verifica e della conferma delle lesioni riportate.

La Corte d’appello di Sassari respingeva l’impugnazione e confermava integralmente la sentenza di primo grado.

La vicenda arriva in Cassazione

Con il primo motivo, il ricorrente censura la parte della decisione in cui la corte territoriale ha ritenuto che la caduta fosse avvenuta a causa della sua imprudenza e distrazione e fosse unicamente da ascrivere alla sua condotta, ritenuta idonea a interrompere il nesso causale riducendo la res a mera occasione dell’evento, con conseguente esenzione dell’ente da ogni responsabilità sia ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia, per le stesse ragioni, ai sensi dell’art. 2043 c.c., mostrando dunque di aderire a una nozione di caso fortuito che si identifica con l’accertamento della condotta colposa del danneggiato, senza tener conto della necessità di verificare se detta condotta presentasse i requisiti della non prevedibilità e della non prevenibilità da parte del custode.

La censura è infondata. È già stato precisato, sottolineano gli Ermellini, che: “In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1, richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.
Quindi quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro“.

La condotta del pedone ha interrotto il nesso causale

Difatti, la responsabilità ex art. 2051 c.c., ha natura oggettiva, in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode, e può essere esclusa o dalla prova del caso fortuito, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo.

La Corte di Appello ha applicato correttamente tali principi. Dopo avere esaminato le risultanze processuali (in particolare, le dichiarazioni rese dai testi e le fotografie prodotte, raffiguranti il dissesto), ha ritenuto provato il nesso di causalità tra la caduta ed il dissesto causato dalla mancanza di mattonelle, ma ha ritenuto che detto nesso era stato interrotto dalla condotta colposa del danneggiato.

È stato rilevato che la caduta avveniva in pieno centro cittadino, in luogo perfettamente illuminato e che le fotografie prodotte in giudizio raffigurano il dissesto del marciapiede di una estensione tale da essere agevolmente visibile e percepibile da chiunque.

In definitiva, secondo la sentenza impugnata “la presenza di illuminazione nel tratto di strada oggetto del sinistro, la intrinseca staticità dell’anomalia e le condizioni della stessa, tali da renderla agevolmente percepibile in quanto ampia e non occultata da ostacoli, sono elementi che obiettivamente imponevano al danneggiato un dovere di ragionevole cautela, sicché può ritenersi che la caduta sia occorsa a causa della imprudenza e distrazione dello stesso”.

Il ricorso viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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