Esclusa la responsabilità del Comune in caso di visibilità della sconnessione stradale (Cass. civ, sez. III, 8 giugno 2023, n. 16199).

La Corte d’Appello di Cagliari ha confermato la decisione di primo grado che rigettava la domanda risarcitoria del pedone proposta contro il Comune per i danni derivanti dall’incidente occorsogli mentre transitava a piedi nel parcheggio antistante allo stabilimento balneare dei vigili del fuoco dove cadeva a causa di una sconnessione stradale causata dal non perfetto ripristino di uno scavo.

Conformemente al primo Giudice, la Corte territoriale ha ritenuto che l’evento fosse causalmente ascrivibile in via esclusiva alla condotta disattenta dello stesso danneggiato, tale da configurare caso fortuito escludente la responsabilità del Comune.

I Giudici di Appello, in particolare, hanno evidenziato la visibilità della sconnessione considerato che “la presenza sull’asfalto dell’ampia frattura era chiaramente percepibile, data la differenza di colore del tratto privo di asfalto rispetto al resto della zona interessata”, confermando che la caduta si verificava per colpa esclusiva dello stesso pedone.

Per tradizione giuridica, sottolinea la Corte di Appello, per caso fortuito è da intendersi l’evento che non poteva essere in alcun modo previsto o, se prevedibile, non poteva essere in alcun modo prevenuto. Nel caso concreto la sconnessione stradale era del tutto visibile, sia per il contrasto cromatico –come già detto-, sia  per le dimensioni di diversi metri di lunghezza e di larghezza di circa un metro. Ha, infine, espressamente condiviso anche l’ulteriore rilievo del primo Giudice secondo cui la ridotta visibilità della zona “avrebbe semmai imposto una maggiore cautela, da parte del pedone che avrebbe dovuto tenere una condotta maggiormente attenta e adeguata alla circostanza“.

Il danneggiato soccombente propone ricorso per Cassazione

Gli Ermellini rammentano che, sottoponendo a revisione i principi in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, è stato stabilito, con le ordinanze 1 febbraio 2018, nn. 2477-2483, che:

  • a) l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima;
  • b) la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso;
  • c) il caso fortuito, il quale può essere rappresentato da fatto naturale o del terzo, o dalla stessa condotta del danneggiato, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere;
  • d) la condotta del danneggiato, il quale entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dalla Cost., art. 2;
  • e) ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.

Tali principi sono stati confermati dalle Sezioni Unite, con la decisione n. 20943 del 30/06/2022, e sono stati ribaditi, con alcune precisazioni concettuali per la avvertita necessità di apportare un “definitivo contributo chiarificatore”, da Cass. 27/04/2023, n. 11152; 05/05/2023, n. 11942; 11/05/2023 n. 12960.

Ciò posto, la formula legale dell’art. 2051 c.c. non chiarisce in alcun modo quando si realizza la preponderanza della causa sopravvenuta idonea ad escludere l’imputazione oggettiva al fatto considerato, dando così adito al proliferare di varie teorie (causalità umana; causalità adeguata; teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento; scopo della norma violata; aumento del rischio).

Ebbene, è da prediligere il criterio della cosiddetta causalità adeguata, o della regolarità causale, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione ex ante – del tutto atipici e inverosimili, e come tali non prevedibili né evitabili.

Pacifico che la condotta colposa del terzo, o del danneggiato, non costituisce propriamente caso fortuito (designando questo il fatto naturale che interviene a monte del processo causale incidendo sulla res) ma, quale fatto umano connotato da colpa, ciò che è dirimente è il giudizio di causalità materiale e, dunque, di imputazione dell’evento, in via esclusiva o concorrente. Nel primo caso (causa esclusiva), appare improprio descrivere tale relazione in termini di “interruzione del nesso tra cosa e danno”, trattandosi piuttosto della concretizzazione del principio disciplinato dall’art. 41, comma 2, c.p., che relega il nesso condizionalistico pur sempre esistente tra res e l’evento al rango di mera occasione.

Tali valutazioni sono state compiutamente poste in essere dal Giudice di Appello nel rispetto dei principi esposti.

Il ricorso viene integralmente respinto.

Avv. Emanuela Foligno

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