Concorso di colpa al 50% del Medico e della Struttura per il confezionamento di una sutura inadeguata stabilito dal Tribunale e confermato anche dalla Corte di Cassazione.
La Suprema Corte statuisce che non vi è contraddizione tra l’affermazione della correttezza generale dell’intervento e l’individuazione di un segmento della condotta medica con alcuni errori in parte pregiudizievoli come una sutura inadeguata (Cassazione civile sez. III, 11/12/2023, n.34395).
I fatti
Viene appellata la decisione n. 7705 del 2019 della Corte di appello di Roma, esponendo che:
– la paziente deduceva che le era stato diagnosticato un polipo nel colon sinistro, con conseguente necessità di polipectomia per via chirurgica, date le dimensioni del peduncolo e considerato che le biopsie avevano evidenziato una formazione sospetta;
– nel quarto giorno post-operatorio la paziente aveva presentato sintomi di peritonite, con accertata presenza del distacco di uno dei punti di sutura colica, tipica complicanza dell’intervento subito, con conseguente nuovo intervento chirurgico di resezione del tratto di colon perforato;
– la donna, quindi, veniva nuovamente ricoverata per l’intervento di ricanalizzazione del tratto intestinale, ma la stessa aveva mostrato subito non correlate complicazioni cardiache, cui era seguito un altro intervento di laparotomia esplorativa che aveva reso necessario rinviare la canalizzazione;
– veniva esclusa la presenza di ulteriori formazioni cancerogene, e la paziente rifiutava la ricanalizzazione del retto preferendo rimanere in condizioni di stomizzata;
– la paziente e il marito chiedevano il risarcimento dei danni.
Il Tribunale accoglieva la domanda condannando la Struttura e il Medico. In sintesi. Il Tribunale aderiva alla CTU secondo cui “pur se la lettura del protocollo operativo consentiva di osservare un intervento condotto con linearità nella ordinata successione dei tempi chirurgici, erano emersi elementi non condivisibili nella condotta della equipe chirurgica, o in ordine a un errore tecnico nel confezionamento della sutura inadeguata, o in ordine alla caduta in terza quarta giornata di una escara necrotica da incauta coagulazione condotta in corso di intervento, sui margini di sezione colica … il tutto per una responsabilità del 50% al Medico e del 50% alla Struttura”.
La decisione della Corte di Appello
Successivamente, la Corte di Appello escludeva solo la personalizzazione del danno ritenuta non provata, mentre confermava, per il resto, la decisione di primo grado, osservando che “non aveva influenza l’allegazione per cui il consenso informato sarebbe stato raccolto non dal Medico che eseguiva l’intervento, ma da altro soggetto, circostanza non esimente ma aggravante a fronte dell’accertata lacunosità e genericità nell’acquisizione del consenso stesso; che non poteva avere incidenza, in termini di preteso aggravamento o mancata riduzione del danno, il diniego della paziente alla richiesta di sottoporsi a un’ulteriore intervento chirurgico riparatore, posta la legittimità di rifiutare l’affidamento a un Medico di cui aveva perso fiducia”.
Il ricorso in Cassazione
Con il ricorso in Cassazione il Medico, in sintesi, deduce che l’intervento era stato giudicato corretto dal CTU ed era stato efficace nella eradicazione della patologia tumorale, sicché, tenuto conto dell’alta incidenza statistica nella chirurgia del colon retto della complicanza intervenuta, le conclusioni in termini di responsabilità sarebbero contraddittorie e illegittime.
I danneggiati, con ricorso incidentale, lamentano il mancato riconoscimento della personalizzazione del danno
La Struttura, con ricorso incidentale, lamenta la prescrizione del diritto al risarcimento del danno del marito della paziente ed errata attribuzione della responsabilità.
Ebbene, per quanto qui di interesse, il Medico ricorrente lamenta che la Corte territoriale non avrebbe risposto alle obiezioni contenute nella consulenza di parte prodotta in seconde cure, in specie quanto: all’esclusione di errori sulla suturazione, tenuto conto della letteratura internazionale medica e del tempo d’insorgenza della complicanza; alla mancata considerazione dell’incidenza dei fattori di rischio; e alla mancanza di tracce di un’escara necrotica da incauta coagulazione non registrate infatti anche dall’anatomopatologo, il tutto nel bilanciamento dei rischi di un’operazione diretta a eradicare un tumore maligno, eseguita in modo riconosciuto complessivamente corretto e riuscita quanto al suddetto obiettivo.
La consulenza tecnica di secondo grado
Innanzitutto, la produzione della Consulenza di parte in secondo grado è ammissibile perché costituisce allegazione difensiva priva di valenza probatoria, quindi su questo punto la decisione di appello deve essere corretta.
Ciò posto la S.C., che accoglie solo una delle numerose censure del Medico, osserva che l’unica menzione riportata in ricorso “è relativa alla percentuale significativa di deiscenze nella chirurgia rettale, ma non si vede come questa allegazione possa avere pregnanza posto che non è logicamente incompatibile con l’errore nella suturazione ovvero per escara necrotica da incauta coagulazione in corso d’intervento, ricostruito per inferenza dalla consulenza d’ufficio quale riportata nello stesso ricorso”.
Il Medico ricorrente non specifica le fonti che avrebbero accreditato il “timing” abituale della complicanza, e non specifica quando, e in quale sede processuale, sarebbe stato prodotto il referto dell’anatomopatologo e quando sarebbe stato reso oggetto di critica specifica delle conclusioni peritali avversate, con aspecificità della censura per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
A fronte del corretto ragionamento motivazionale della Corte territoriale, in linea con quello del Tribunale, per cui non emergeva prova della possibile “risolutività dell’ulteriore intervento, sia pure escludendo – erroneamente come visto – che l’ulteriore scrutinio potesse poggiarsi sulla consulenza di parte prodotta in seconde cure, la censura del Medico ricorrente non riporta in quali termini nella letteratura medica l’intervento rifiutato dalla paziente sarebbe stato qualificato come necessario completamento del percorso clinico, né, soprattutto, in quali termini il CTU, o quello di parte, avrebbero ritenuto possibile, e con quali margini di rischio e successo, lo stesso intervento”.
La quarta censura del Medico, inerente il consenso informato, è fondata.
La Corte di Appello ha correttamente affermato che il responsabile del consenso informato, che dev’essere specificamente dettagliato sui rischi, è il Medico che opera l’intervento da consentire, e deve risultare che la paziente abbia allegato e provato che, se informata specificatamente, avrebbe rifiutato l’intervento, nel caso diretto, come visto, alla rimozione di una grave neoplasia.
Al riguardo, la Cassazione ripercorre i noti principi della materia (Cass., n. 28985/2019) ed afferma che la Corte di Appello dovrà accertare e motivare tutti i profili del consenso informato distinguendo, eventualmente, le componenti plurime di danno.
Avv. Emanuela Foligno