Infortunio del lavoratore e inadeguata formazione sulla sicurezza

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Il datore di lavoro viene condannato dalla Corte di Appello di Torino per lesioni personali colpose in ordine all’infortunio del lavoratore.
Per contro, il datore di lavoro sostiene la prevedibilità ed evitabilità dell’infortunio; la Cassazione ritiene corretta la decisione di secondo grado perché non ha assolto alla formazione sulla sicurezza (Cassazione Penale, sez. IV, dep. 13/02/2024, n.6301).

I fatti

L’infortunato, inquadrato come lavoratore interinale, era stato assunto da un mese con mansioni di letturista (addetto alla lettura dei contatori), ed era in affiancamento a un lavoratore più anziano.

Il 16 ottobre 2018, al termine della giornata di lavoro, avendo notato che su una via era stata rimossa una impalcatura presente nei giorni precedenti, i due lavoratori decidevano di verificare la lettura di un tombino ivi presente; il più anziano aveva sollevato il chiusino con un attrezzo a sua disposizione ad un palmo da terra, quando il tombino gli era scivolato: il collega interinale, che si trovava di fronte a lui inginocchiato, aveva improvvisamente allungato le mani nel tentativo di afferrarlo ed era rimasto con il dito schiacciato dal tombino in caduta. A seguito dell’infortunio, quest’ultimo riportava lesioni personali gravi costituite da “trauma schiacciamento terzo dito mano sinistra con amputazione della falange distale” risultate guaribili in più di 40 giorni.

La vicenda giudiziaria

Al datore di lavoro sono stati addebitati colpa, negligenza, imprudenza, imperizia e violazione dell’art. 2087 c.c. e della normativa di prevenzione infortuni sul lavoro ed in specie dell’art. 37 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n 81, per non aver fornito al lavoratore una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza.

Il Tribunale di Aosta si è espresso in un’assoluzione, ma la Corte d’Appello di Torino, in data 28 febbraio 2022 ha condannato per il reato di lesioni personali colpose il datore di lavoro.

Il ricorso in Cassazione

Il datore di lavoro propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di Appello.

Viene censurato che all’infortunato era stata impartita l’istruzione di non sollevare i tombini e che la Corte non avrebbe tenuto in considerazione le testimonianze che confermavano il preciso ordine rivolto all’infortunato di “stare lontano dai tombini in occasione delle operazioni di sollevamento”.

Le censure non sono fondate.

L’obbligo formativo non è stato assolto

La Corte di Appello ha ravvisato un comportamento colposo del datore di lavoro in stretta casualità con il sinistro, consistito, in particolare, nel non aver fornito al lavoratore dipendente adeguata formazione e informazione.
La vittima era stata impiegata nella mansione di letturista, pur avendo svolto solo un corso generale sulla sicurezza di appena quattro ore e non anche il corso specifico, in cui avrebbe dovuto ricevere specifiche istruzioni collegate a tali mansioni, previsto solo per le settimane successive.
I Giudici hanno considerato irrilevante il fatto che il collega anziano gli avesse intimato di non avvicinarsi nel momento in cui erano in corso le operazioni di sollevamento del tombino, così come il fatto che egli fosse stato appunto affiancato a tale collega, osservando che l’adempimento dell’obbligo di formazione e informazione non è surrogabile dal travaso di conoscenze dai colleghi più esperti e che, appunto, l’infortunato non aveva ricevuto formazione specifica sui rischi connessi alla mansione, né gli era stato consegnato il manuale.

Ed ancora ha evidenziato che, laddove l‘obbligo formativo fosse stato assolto in maniera formale, sarebbe stata impartita la direttiva di tenersi ad adeguata distanza dalle operazioni di apertura del “chiusino”, in modo da non esporsi ai pericoli derivanti dal tipo di operazione effettuata, e ciò sarebbe valso ad evitare l’evento.

Addestramento, formazione e informazione

Le argomentazioni dei Giudici di Appello sono del tutto coerenti con i dati di fatto. L’individuazione dei profili di colpa è conforme al dettato normativo, per il quale l’addestramento è concetto diverso dalla formazione e informazione. Difatti:

  • formazione“: processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi;
  • informazione“: complesso delle attività dirette a fornire conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro;
  • addestramento“: complesso delle attività dirette a fare apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanze, dispositivi, anche di protezione individuale, e le procedure di lavoro”.

Non può ritenersi adeguata una formazione, in tema di sicurezza, affidata alla mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza sul campo giacché questa, sebbene a sua volta importante, non può sostituire ex sé quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato.

Egualmente corretto il giudizio controfattuale svolto dai Giudici di Appello e conforme al principio per cui il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell’espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi”.

La formazione deve provenire da soggetti qualificati

Il datore di lavoro non ha tenuto in considerazione che la formazione deve avere contenuti specifici e deve provenire, appunto, da soggetti qualificati.

Infine, corretta anche l’analisi svolta dai Giudici sul comportamento della vittima che ha portato ad escludere che la sua condotta, che di istinto aveva cercato di afferrare il tombino, potesse essere qualificata come abnorme e valesse perciò ad interrompere il nesso di causalità con l’evento, rilevando che essa non si era realizzata in ambito “avulso dal procedimento lavorativo a cui era stato addetto”.

Avv. Emanuela Foligno

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