Il paziente denuncia carenza del consenso informato relativamente alla sinoviectomia e condotta imperita e negligente dei medici: i Giudici rigettano la domanda (Cassazione Civile, sez. III, 08/04/2024, n.9269).

I fatti

Il paziente sostiene essere responsabile l’Azienda Ospedaliera di Potenza dei danni causati dall’intervento di sinoviectomia parziale praticatogli nel 2001 in occasione della artroscopia diagnostica eseguita sul ginocchio. Nello specifico, sostiene di avere prestato il consenso all’artroscopia diagnostica e che il medico non l’aveva preventivamente avvisato della eventualità di doverlo sottoporre contestualmente alla sinoviectomia, intervento che aveva poi ritenuto opportuno fare ed eseguito, di seguito alla artroscopia, senza avvisarlo.

Tale intervento non risolveva la sintomatologia dolorosa al ginocchio, tanto che a breve distanza di tempo doveva sottoporsi ad altro intervento presso altra struttura sanitaria a seguito dell’aggravamento del problema articolare. Denuncia quindi, oltre alla carenza del consenso informato, anche l’esistenza di una condotta caratterizzata da imperizia, negligenza e imprudenza in capo ai sanitari dell’ospedale.

La vicenda giudiziaria

Il Tribunale rigetta la domanda del paziente poiché non risultavano comportamenti negligenti o imprudenti in capo ai medici dell’Ospedale. In particolare, il Giudice dà atto che riguardo al consenso informato risultava la modulistica sottoscritta dal paziente che le scelte cliniche del medico operante – di effettuare una artroscopia diagnostica e poi nello stesso contesto di eseguire una sinoviectomia parziale per ridurre la compressione articolare e favorire lo scorrimento dell’articolazione del ginocchio – apparivano esatte.

Anche la Corte d’Appello di Potenza rigettava la domanda, sebbene motivando –diversamente dal primo Giudice –  che il modulo di consenso informato in atti non conteneva alcuno specifico riferimento ad una operazione chirurgica, e quindi non si poteva evincere che il paziente avesse ricevuto una informazione adeguata in ordine all’eventuale intervento medico chirurgico, ma riteneva che il paziente non avesse fornito la prova, neppure in via presuntiva, che, ove fosse stato informato dei rischi dell’intervento, rispondente ad una corretta scelta clinica, non si sarebbe sottoposto ad esso.

Il ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ritiene corretta la decisione d’Appello.

A fronte delle conclusioni del CTU, il paziente richiama il diverso parere del CTP  e sostiene che la Corte avrebbe ignorato la prova costituita dalla consulenza di parte. Gli Ermellini ribadiscono l’orientamento ormai granitico secondo cui il Giudice, quando condivide gli esiti della CTU, non deve indicare specificatamente le ragioni del suo convincimento.

Per quanto riguarda il consenso informato, la Corte d’appello ha fatto comunque corretta applicazione dei principi giurisprudenziali secondo i quali occorre tenere distinti i casi in cui la violazione del consenso riverberi in una violazione del diritto alla salute, dai casi in cui si formuli una autonoma domanda da lesione del diritto alla autodeterminazione.

Non risulta che il paziente abbia formulato una autonoma domanda di risarcimento del danno per violazione del diritto alla autodeterminazione.

Vanno tenuti distinti i casi in cui a seguito della lesione del diritto al consenso informato si siano verificate delle, pur incolpevoli, conseguenze lesive per la salute del paziente asseritamente discendenti dal trattamento sanitario e di esse chieda il risarcimento l’attore (danno alla salute), dai casi in cui il paziente faccia valere esclusivamente ed autonomamente la diversa lesione del proprio diritto all’autodeterminazione in sé e per sé considerato, comunque discendente dalla violazione del relativo obbligo da parte del medico e della struttura sanitaria.

Danno alla salute o violazione del consenso informato

Nel caso di danno alla salute, perché sia risarcibile l’omesso consenso informato devono ricorrere due condizioni:

  • il danno alla salute
  • e che il paziente alleghi e provi, anche presuntivamente, che se compiutamente informato avrebbe rifiutato di sottoporsi alla terapia.

Solo in questo modo viene fornita la prova del nesso causale tra la mancanza di un consapevole consenso e il danno alla salute verificatosi a seguito della sottoposizione all’operazione. Ebbene, la Corte di Appello, recependo gli esiti della CTU, ha escluso la sussistenza di nesso causale tra l’intervento di sinoviectomia (asseritamente non autorizzato) e i pretesi danni lamentati.

Ergo, la censura in Cassazione riguardo quest’ultimo punto, in sostanza si risolve in una contestazione dell’accertamento di fatto che non è ammissibile.

Ad ogni modo, in disparte l’inammissibilità, il paziente sovrappone e confonde il profilo del danno alla salute e il profilo della violazione del consenso: la Corte d’Appello ha escluso che fosse configurabile un danno alla salute perché ha ritenuto corretto l’intervento eseguito e ha affermato che prescinde dalla correttezza nell’esecuzione una eventuale ingravescenza successiva della situazione per cause autonome, che hanno portato alla opportunità di un secondo intervento: ha escluso il diritto al risarcimento da violazione del consenso informato avendo ritenuto non assolto l’onere probatorio gravante sull’attore.

Il ricorso in Cassazione è complessivamente inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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