Respinto il ricorso di una donna che chiedeva il ristoro dei danni subiti dopo una caduta causata da un dislivello del marciapiede

Aveva convenuto in giudizio il locale Comune, quale ente proprietario della strada, per ottenere il risarcimento dei danni subìti in conseguenza di una sua caduta causata da un dislivello del marciapiede. La donna precisava  che nell’occasione aveva le mani occupate per tenere il nipote di 10 anni, e che non si era avveduta della presenza del dislivello in quanto era stata costretta ad utilizzare un varco di 40-50 cm tra le vetture parcheggiate in corrispondenza del marciapiede.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda, ritenendo che il sinistro si fosse verificato per esclusiva colpa dell’attrice. La Corte d’Appello aveva rigettato il gravame evidenziando, in particolare, che la scelta di attraversare la piazza utilizzando un piccolo varco fuori dalle strisce pedonali (peraltro con un bambino di dieci anni per mano, e quindi con l’impossibilità di utilizzare le braccia per prevenire un’eventuale caduta) concretizzava un grado di colpa molto elevato, tale da escludere che il danno fosse stato cagionato dal bene in custodia, “res” ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e da far ritenere quindi integrato il caso fortuito; al riguardo ha poi soggiunto che, al momento del sinistro, vi era luce diurna ed un’ottima visibilità, mentre nessuno aveva imposto alla signora di scegliere per l’attraversamento un varco così stretto.

Nell’impugnare la pronuncia davanti alla Cassazione la ricorrente si doleva che la Corte territoriale, finendo con l’imporre al cittadino un onere di attenzione tale da supplire all’inadempimento da parte del Comune ai più elementari obblighi di valutazione, non avesse considerato che non vi erano altri passaggi sul marciapiede e che comunque era onere del Comune provarne l’esistenza.

Inoltre sosteneva che il Giudice di secondo grado non avesse proceduto all’accertamento dell’eziologia dell’evento dannoso attraverso la ricostruzione istruttoria dello stato dei luoghi, e eccepiva che il Collegio d’appello, dopo avere accertato la non corretta manutenzione del marciapiede per l’esistenza di un impercettibile “scalino”, non avesse poi applicato la presunzione di responsabilità del Comune, tenendo conto della possibilità dello stesso, attesa la limitatezza del tratto di strada vigilato, di esercitare in concreto il potere di fatto della cosa.

La Suprema Corte, con la ordinanza n. 10026/2020, ha ritenuto di respingere il ricorso in quanto tendente a sollecitare una nuova valutazione delle circostanze fattuali, non consentita in sede di legittimità, in particolare in ordine alla mancanza di altri passaggi sul marciapiede ed all’esatta consistenza dello “scalino” sul marciapiede. Per i Giudici Ermellini in sede di merito era stata fatta corretta applicazione dei principi di cui all’art. 2051 del codice civile (danno cagionato da cosa in custodia), ritenendo che il comportamento incauto del pedone danneggiato integrasse gli estremi del caso fortuito, con conseguente interruzione del nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso.

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