Respinto il ricorso degli eredi di un lavoratore che chiedevano il riconoscimento del danno morale conseguente alla esposizione del loro congiunto a sostanze morbigene
Con l’ordinanza n. 29648/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dagli eredi di un lavoratore che si era visto rigettare, in sede di merito, le domande proposte nei confronti dell’azienda presso cui aveva prestato servizio, volte a conseguire il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale conseguente alla esposizione a sostanze morbigene, quali l’amianto, subita nel corso della attività di carpentiere svolta dal 1962 al 1988.
La Corte territoriale, a fondamento della decisione, deduceva che la CTU ambientale disposta, aveva accertato l’esposizione del lavoratore ad inalazione di fibre di amianto in misura inferiore ai limiti di legge, laddove gli accertamenti di natura medico- legale avevano consentito di escludere che avesse contratto patologie amianto-correlate, essendo le affezioni respiratorie diagnosticate, ascrivibili a diversi fattori, di natura non tecnopatica; quanto al danno morale, il Collegio distrettuale osservava come, pur avendo una sua specificità quale voce del danno non patrimoniale, era soggetto alle regole generali di allegazione e prova, e che il pregiudizio doveva essere obiettivamente riconoscibile come conseguenza dell’illecito, non essendo sufficiente la deduzione di generici stati d’animo (stress, disagio, angoscia, ricorrenti per altri casi analoghi) del tutto disancorati da elementi obiettivi e alla stregua dei quali poter inferire un concreto peggioramento della vita interiore, affettiva e di relazione.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, gli eredi del lavoratore, nel frattempo deceduto, contestavano al Giudice di secondo grado di aver escluso la sussistenza del danno morale e/o esistenziale ritenendo non applicabile il ricorso alle presunzioni, anche semplici, nonostante deduzione, sin dal primo grado, di puntuali e precise allegazioni e nonostante la consulenza tecnica ambientale avesse riconosciuto la nocività dell’ambiente in cui operavano tutti i lavoratori.
Gli Ermellini, nel respingere il motivo di doglianza, hanno specificato che la giurisprudenza di legittimità, nel definire la consistenza e le condizioni di risarcibilità del danno non patrimoniale, dopo avere chiarito che, al di fuori dei casi di risarcibilità previsti direttamente dalla legge, il danno non patrimoniale è risarcibile unicamente se derivato dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, ha respinto tanto la tesi che identifica il danno nella lesione stessa del diritto (danno- evento) che la variante costituta dalla affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa; entrambe le tesi, infatti, snaturerebbero la funzione del risarcimento in quella di una pena privata per un comportamento lesivo.
La Cassazione ha quindi ricordato che, mentre per il danno biologico l’accertamento medico legale è il mezzo di prova al quale comunemente si ricorre, per il pregiudizio non-biologico, relativo a beni immateriali, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo; a tale rilievo non va disgiunto, comunque, il principio che “il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.
Nel caso in esame, la Corte territoriale non aveva negato la rilevanza delle presunzioni ai fini della prova del danno non-biologico ma aveva affermato che nella concreta fattispecie di causa non erano stati allegati elementi obiettivi, dotati di un sufficiente grado di specificità, sulla base dei quali risalire alla sofferenza ed al cambiamento delle abitudini di vita derivati dalla consapevolezza della esposizione lavorativa ad agenti nocivi. Appariva, pertanto, corretto in punto di diritto il ragionamento del Collegio di merito, che aveva evidenziato come la mancata allegazione di elementi obiettivi specifici impediva di inferire la prova per presunzioni e come fossero stati gli stessi ricorrenti a dedurre che i disagi e le sofferenze non si erano tradotti in alcuna malattia psichica (circostanza che avrebbero avuto autonoma valenza quale danno risarcibile per violazione dell’articolo 32 Cost., piuttosto che rilievo indiziante).
La redazione giuridica
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