Respinto il ricorso degli eredi di un uomo morto per una ischemia miocardica asseritamente dovuta allo sforzo lavorativo cui si era sottoposto

L’azione violenta che, ex art. 2, T.U. n. 1124/1965, può determinare una patologia riconducibile all’infortunio protetto deve operare come causa esterna, che agisca con rapidità e intensità, in un brevissimo arco temporale, o comunque in una minima misura temporale, non potendo ritenersi indennizzabili come infortuni sul lavoro tutte le patologie che trovino concausa nell’affaticamento che costituisce normale conseguenza del lavoro. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 23894/2021 pronunciandosi sul ricorso degli eredi di un lavoratore che si erano visti rigettare, in sede di merito, la domanda volta a conseguire la rendita quali superstiti del loro caro, deceduto per un’ischemia miocardica mentre prestava servizio alle dipendenze di una S.r.l.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la parte ricorrente denunciava violazione dell’art. 2, T.U. n. 1124/1965, e 41 c.p., per avere la Corte di merito ritenuto, sulla scorta della CTU disposta in secondo grado, che lo sforzo lavorativo cui il de cuius si era sottoposto per aver trasportato mobilia a spalla non potesse aver causato il decesso; lamentava, inoltre, la violazione dell’art. 2, T.U. n. 1124/1965, per avere la Corte territoriale escluso che l’attività lavorativa svolta dal de cuius nel giorno del decesso eccedesse la normale tollerabilità ed adattabilità al punto da poter costituire causa del decesso.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto di non aderire alle argomentazione proposte.

Nel caso in esame, infatti, i giudici territoriali, dopo aver rilevato l’assenza di un esame autoptico che accertasse con sufficiente grado di certezza la riconducibilità del decesso del lavoratore ad una causa di lavoro, avevano valorizzato la circostanza che costui fosse “un soggetto di giovane età, in buone condizioni di salute e senza alcuna predisposizione morbosa”, e che, peraltro, non risultava accertato “alcun elemento che po[tesse] qualificare l’attività lavorativa […] ordinaria così come quella svolta nel giorno del decesso […] come eccedente la normale tollerabilità ed adattabilità, al punto da potersi ravvisare un rapporto diretto tra lavoro e decesso”.

La redazione giuridica

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