Escluso il comportamento abnorme del lavoratore, caduto da un’altezza di 8 metri per la rottura dei pannelli di copertura di un capannone

Era stato condannato in sede di merito per il reato di cui all’art. 590 cod. pen., perché, in qualità di titolare dell’impresa esecutrice dei lavori di installazione dell’impianto fotovoltaico sulla copertura di un capannone cagionava a un lavoratore, che stava operando sulla copertura del capannone industriale e che precipitava da un’altezza di circa 8 metri in conseguenza della rottura dei pannelli di copertura della parte attigua a quella sulla quale stava lavorando, lesioni personali dalle quali derivava una malattia e un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni.

L’imputato, nello specifico, era accusato: di non aver predisposto alcuna misura di protezione per le cadute (sistemi per l’agganciamento delle imbracatura di sicurezza dei lavoratori; parapetti o sbarramenti); di aver predisposto un piano operativo di sicurezza generico e non pertinente alla natura dei lavori da effettuare: di non aver verificato, prima di procedere all’esecuzione dei lavori, che le coperture avessero resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai; di non aver provveduto alla formazione dei lavoratori in ordine ai rischi inerenti all’attività lavorativa.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente deduceva violazione di legge e vizio dì motivazione, poiché non era ravvisabile il requisito della causalità della colpa, non essendovi alcun nesso tra la presunta violazione della regola cautelare e il verificarsi dell’evento.

I dispositivi di sicurezza, infatti, come funi o parapetti, erano presenti sul capannone nei giorni precedenti e – a detta dell’imputato – erano stati rimossi, a sua insaputa, prima dell’evento, poiché si erano conclusi i lavori sulla sommità dell’immobile. Comunque i dispositivi di sicurezza, anche se fossero stati presenti, non avrebbero evitato la caduta del lavoratore, che aveva deciso autonomamente e senza alcuna valida motivazione tecnica di uscire dal carrello elevatore, attraversare il tetto del capannone interessato ai lavori e scavalcare il muretto, di quasi un metro, che divideva tale edificio da quello attiguo, su cui non si doveva effettuare alcun lavoro, precipitando, dopo aver percorso alcuni metri, e sfondando la copertura di fibrocemento. Al momento dell’evento il lavoratore non stava affatto svolgendo i compiti assegnatigli, poiché come da cronoprogramnna e come affermato da un teste, il dipendente avrebbe dovuto soltanto, in tutta sicurezza, rimanendo all’interno del carrello elevatore, connettere i cavi che pendevano sul prospetto del capannone alle cassette di derivazione ivi presenti anziché passeggiare, senza alcuna necessità tecnica, sul tetto dell’altro capannone, distante dal luogo di lavoro e non interessato da alcuna attività lavorativa.

Dunque il lavoratore, al quale erano stati messi a disposizione tutti i dispositivi di sicurezza, aveva tenuto un comportamento abnorme, che aveva innescato un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto a quello originario, che era stato valutato correttamente in ordine all’attività da compiere sul solo capannone oggetto dei lavori appaltati e non sull’altro, che era estraneo ad ogni attività.

La Cassazione, con la sentenza n. 32964/2021 ha ritenuto tuttavia di non aderire alle argomentazioni proposte.

Nei caso in esame, il giudice a quo aveva evidenziato come i tecnici del servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro avessero appurato che mancavano parapetti destinati a interdire il transito e dispositivi di ancoraggio. D’altronde il teste, elettricista presente in cantiere nel giorno del sinistro e che coadiuvava il danneggiato nell’esecuzione dei lavori, aveva dichiarato che, pur dovendo lavorare sulla facciata, a volte era necessario andare sul tetto per prendere i cavi. E la persona offesa aveva precisato che non era possibile operare rimanendo sul carrello elevatore perché “bisognava andare dentro per prendere i cavi che uscivano fuori e metà restavano dentro “. In ogni caso il motivo di spostarsi avrebbe potuto essere correlato ad un’anomalia nei cavi. Ciò dunque smentiva l’asserto secondo cui nel giorno dell’incidente era prevista un’attività che avrebbe potuto essere svolta dagli operai rimanendo a bordo della piattaforma aerea.

La vittima, quindi, come evidenziato dal giudice di primo grado, si trovava, nel contesto di un’operazione rientrante appieno nelle sue mansioni, sul tetto dell’edificio per raccordare i cavi e portarli fino all’estremità per poi collegarli ai quadri elettrici, onde l’aver camminato sulla copertura attigua rappresentava comportamento, anche se negligente, non certo imprevedibile. Di qui la conclusione dei giudici di merito secondo la quale non poteva ravvisarsi abnormità del comportamento del lavoratore.

L’impianto argomentativo a sostegno del decisum era dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dai giudici e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo la Corte d’appello preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuta alle proprie conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

La redazione giuridica

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