Confermata la responsabilità del legale rappresentante di un’azienda per non aver adottato idonee misure tecniche organizzative al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro
L’obbligo del datore di lavoro di vigilare sull’esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 45603/2021 pronunciandosi sul ricorso del legale rappresentante di un’azienda esercente l’attività di costruzione, commercio e consulenza nel campo degli impianti di combustione industriali, condannato, in sede di merito, ai sensi dell’art. 590 c.p. per non aver adottato idonee misure tecniche organizzative al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro, così consentendo che un lavoratore sganciasse dal carroponte un fondello di ferro del peso di kg. 480 appoggiandolo al banco di lavoro privo di solido fissaggio. Il manufatto, cadendo, aveva colpito il piede destro del dipendente cagionandogli lesioni da cui era derivata un’incapacità assoluta ad adempiere alle proprie ordinarie occupazioni per giorni 376 con una invalidità permanente pari al 12%.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente lamentava, tra gli altri motivi, la mancanza di motivazione in relazione alle doglianze difensive inerenti all’asserita violazione dell’art. 71, comma 3, d. Igs. n.81/2008. La difesa, infatti, aveva escluso che tale violazione fosse in rapporto causale con l’evento lesivo, esistendo in azienda un preposto, e mancando anomalie di qualsivoglia natura, come riscontrato dalla Asl appena pochi giorni prima dell’infortunio e come confermato dal fatto che, anche dopo l’infortunio, non fossero state impartite alla società prescrizioni volte ad introdurre modifiche strutturali dì alcun tipo, essendovi un piano di corretta formazione dei dipendenti, la dotazione di attrezzatura necessaria e idonea, la conoscenza diretta da parte dei dipendenti della procedura di movimentazione e lavorazione dei pezzi pesanti. L’unica prescrizione impartita dall’Asl era stata nel senso di mettere per iscritto quella procedura già nota e oggetto di prassi consolidata, ossia un adempimento meramente formale che non mutava la sostanza dei fatti e che, vista la condotta del dipendente, anche qualora il documento fosse stato presente in azienda, egli avrebbe del tutto ignorato. La doglianza difensiva sarebbe stata ignorata dalla corte di appello.
Gli Ermellini, tuttavia, non hanno ritenuto di accogliere la doglianza.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, i giudici di merito avevano infatti evidenziato come la ASL avesse impartito prescrizioni affinché fosse adottata una procedura differente per le lavorazioni fuori standard, come quella in esame, stabilendo la presenza necessaria di un preposto e l’utilizzo dei golfari o altri strumenti che garantissero il corretto fissaggio del pezzo da lavorare. La Corte aveva rimarcato come le deduzioni difensive trascurassero l’importante informazione fornita dal preposto nella propria testimonianza, inerente al fatto che la lavorazione di pezzi di tali dimensioni fosse abbastanza frequente in azienda e venisse normalmente svolta con il pezzo tenuto in verticale e appoggiato al tavolo di lavoro.
I giudici territoriali non avevano, pertanto, ritenuto la responsabilità dell’imputato per il sol fatto di ricoprire la relativa posizione di garanzia nei confronti della vittima, ma ne avevano compiutamente scrutinato l’obbligo di vigilanza, certamente incombente sul medesimo, concludendo per la sua inosservanza o inadeguata attuazione, avuto riguardo ai dati emersi dalla istruttoria (in particolare, l’esistenza di una prassi altamente rischiosa e l’acritico asseveramento di essa da parte del preposto quali indici di noncuranza da parte dello stesso datore di lavoro).
Il Collegio distrettuale si era dunque posto in linea di perfetta coerenza con i principi già affermati dalla Corte di legittimità, secondo cui il datore di lavoro può assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi, nonché, per il caso di nomina di un preposto, in merito al fatto che il datore di lavoro deve controllare che costui, nell’esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; con la conseguenza che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche.
La redazione giuridica
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