Esposizione qualificata ad agenti patogeni non provata, no al risarcimento

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Confermata la decisione dei Giudici del merito che avevano ritenuto non provati l’esposizione qualificata ad agenti patogeni ed il relativo nesso di causalità con le patologie del lavoratore

La Cassazione, con la sentenza n. 31153/2021, si è pronunciata sul ricorso di un lavoratore avverso la decisione dei Giudici del merito che avevano respinto la domanda intesa ad ottenere il risarcimento dei danni patiti per effetto delle patologie professionali contratte nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, dalle quali asseritamente erano residuati postumi permanenti quantificabili nella percentuale del 60% o nella diversa percentuale da stabilirsi a mezzo c.t.u. e quantificabili in euro 217.838,42 per danno biologico, oltre danno morale ed esistenziale. La Corte distrettuale, in particolare, aveva rilevato che, pur se l’appellante lamentava il malgoverno delle prove testimoniali e l’errata valutazione del c.t.u. di primo grado laddove erano stati ritenuti non provati l’esposizione qualificata ad agenti patogeni ed il relativo nesso di causalità, nessuna indagine era più possibile sulla situazione dell’impianto produttivo, essendo stato lo stesso ampiamente rinnovato negli anni 80 e dotato successivamente ai fatti di causa di impianti di aspirazione.

Il Collegio territoriale aveva condiviso l’opinione del primo giudice sul carattere non probante delle dichiarazioni rese dai testi in relazione agli aspetti tecnici su cui erano stati chiamati a deporre, e ciò anche con riguardo al periodo intercorrente tra il 1978 ed il 1992, in cui l’unità di produzione era stata già munita di sistemi di aspirazione, anche se il giudice di primo grado aveva ritenuto provata, sulla base delle stesse dichiarazioni, l’esposizione ai solventi. Secondo il Giudice di secondo grado, anche la c.t.u. rinnovata in appello era pervenuta a risultati non univoci, avendo l’ausiliare evidenziato che, sulla base di un criterio del tutto probabilistico, l’esposizione ai solventi di cloruro, come prospettata dal ricorrente, potesse condurre alla patologia lamentata, ma che, tuttavia, al di là dell’efficientismo causale dell’esposizione, restavano sfornite di prova proprio l’esposizione a tali agenti patogeni, la relativa concentrazione e la durata. Peraltro, secondo la Corte, nel 2015, ovvero molti anni dopo la cessazione della lamentata esposizione, il ricorrente era stato colpito al rene destro dalla medesima patologia della quale adduceva l’eziopatogenesi lavorativa, mentre prima del 1997 era stato colpito da patologia tumorale al colon, infermità delle quali entrambi i C.t.u. avevano del tutto escluso la riconducibilità all’attività lavorativa. Né alcun conforto alla tesi attorea poteva trarsi, secondo il giudice del gravame, dal riconoscimento della rendita INAIL, che aveva valutato il danno, già comprensivo del danno biologico, in percentuale pari al 45%, laddove la valutazione del danno operata dal C.t.u. si fermava al 15%.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente lamentava, tra gli altri motivi, nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c., in particolare dolendosi della omissione di motivazione, della motivazione apparente e della manifesta e irriducibile illogicità e contraddittorietà della stessa, in violazione/falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., nonché dell’art.111, comma 6, Cost., laddove il Collegio territoriale prima aveva richiamato quanto accertato dal giudice di primo grado con riguardo all’esposizione ai solventi, ritenuta dallo stesso provata, e poi aveva affermato che, al di là dell’efficientismo causale della esposizione, ciò che restava sfornito di prova era proprio l’esposizione a tali agenti patogeni, la relativa concentrazione e durata. Evidenziava ulteriori elementi di contraddittorietà della decisione laddove, a fronte di quanto emerso dalle testimonianze acquisite circa l’esposizione alle sostanze nocive, quest’ultima negava tale esposizione riferendosi peraltro a lasso temporale successivo a quello dell’esposizione di cui si trattava in causa, ovvero quella relativa agli anni dal 1968 al 1977/78, in relazione ai quali l’esposizione era stata acclarata. Rilevava poi insanabile discrepanza tra le conclusioni adottate in sentenza e le scarne ed apodittiche argomentazioni a sostegno delle stesse, contraddittoriamente discostantesi da quelle del C.t.u. rese anche in sede di chiarimenti, che avevano valorizzato il criterio del “più probabile che non” con riguardo al nesso causale tra esposizione all’azione di xenobiotici per oltre trent’anni e carcinoma renale e tumore alle vie urinarie. Ulteriore lacuna motivazionale era evidenziata anche con riguardo alla rilevata mancanza di denunce di malattie professionali in relazione al periodo de quo ed all’apparenza della motivazione pure con riferimento al passaggio della pronuncia in cui si affermava che il lavoratore era stato colpito, a distanza di molti anni dalla cessazione della esposizione, da un tumore al rene dx, inidoneo a rendere conto dell’iter logico giuridico posto a sostegno del decisum.

I Giudici Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto di non aderire alle argomentazioni proposte.

“E’ sufficiente osservare – hanno sottolineato dal Palazzaccio – che non è dato individuare un’apparenza della motivazione, nei termini in cui tale vizio risulta dedotto dal ricorrente, posto che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando, pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico – giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017), oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009)”.

Tali carenze, che la parte ricorrente assumeva sulla base di considerazioni del tutto generiche ed assertive, non erano riscontrabili nella sentenza in esame, della quale era agevolmente riscontrabile il percorso argomentativo che aveva indotto la Corte distrettuale a confermare la decisione di primo grado, fondato sul rilievo che non vi fosse stato malgoverno delle prove testimoniali ed errata valutazione delle risultanze della c.t.u., all’esito della quale era stato ritenuto non provata l’esposizione qualificata agli agenti patogeni ed il relativo nesso di causalità.

In particolare, la Corte territoriale aveva ritenuto, in relazione agli evidenziati profili, non attendibili le dichiarazioni testimoniali e non univoci i risultati delle espletate c.t.u. nonostante i chiarimenti resi dall’ausiliare officiato in secondo grado ed aveva reputato dirimente, per pervenire al rigetto del gravame, proprio la mancanza di dimostrazione della prolungata esposizione agli agenti patogeni e del grado di incidenza della stessa ai fini dell’insorgenza della malattia, se pure in via astratta non poteva sul piano probabilistico negarsi la riconducibilità della neoplasia renale all’esposizione ai solventi di cloruro.

La redazione giuridica

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