Allievo della palestra ferito dall’allenatore (Corte Appello Salerno, sez. I, 01/03/2023, n.297).

Ferito dall’allenatore durante il corso di kick boxing riporta frattura e danno biologico permanente del 4%.

Il danneggiato viene ferito dall’allenatore della palestra all’avanbraccio destro durante la lezione di kick boxing. Il Pronto soccorso diagnosticava la “frattura isolata III° medio ulna dx”.

Il Tribunale riteneva sussistente la responsabilità del titolare della palestra, ai sensi dell’art. 2049 c.c., e lo condannava a risarcire l’importo di euro 11.267,00, oltre spese di giudizio. Nello specifico il Tribunale dava atto che la dinamica dei fatti descritta dall’attore emergeva dalle dichiarazioni testimoniali.

L’Assicurazione della palestra impugna la decisione lamentando:  a) Omessa pronuncia in ordine all’eccezione di inoperatività della garanzia assicurativa; b) Errato accertamento del fatto storico in relazione alla errata valutazione dei fatti di causa e del nesso causale; c) Errata applicazione dell’art. 2049 c.c.; d) Assenza di responsabilità per effetto della accettazione del rischio di infortunio; e) Errata valutazione del nesso causale.

Il titolare della palestra contesta, invece : a) l’erronea ricostruzione dei fatti rappresentati in sentenza ; b) l’erronea affermazione in merito alla riconducibilità dell’azione all’istruttore; c) l’affermazione del primo giudice secondo cui il colpo era stato dato con eccesso di violenza.

La Corte, ritenendoli fondati, esamina congiuntamente il secondo, terzo e quarto motivo dell’appello principale nonché il secondo e terzo motivo dell’appello incidentale, in quanto correlati tra loro perché relativi alla valutazione delle risultanze probatorie in seguito all’istruttoria, nonché ai presupposti per la configurabilità della responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c.

Il Tribunale ha accolto la domanda risarcitoria formulata ai sensi dell’art. 2049 c.c. fondando il proprio convincimento esclusivamente sulle dichiarazioni testimoniali rese dall’unico teste, che avrebbe confermato il racconto dell’attore in merito alla dinamica del sinistro. Ebbene, le conclusioni cui è giunto il primo Giudice non vengono ritenute condivisibili.

In particolare, non è stata considerata una dichiarazione scritta stragiudiziale dello stesso teste attoreo escusso, rilasciata all’Assicurazione, con la quale viene descritta la dinamica di verificazione del sinistro come “caduta accidentale nella doccia della palestra”. Essendo una dichiarazione scritta assume valore confessorio e la sua rilevanza non doveva essere trascurata dal Tribunale.

Non risultano dirimenti, e non invalidano l’efficacia probatoria di tale documento le dichiarazioni testimoniali dello stesso soggetto, rese in sede di libero interrogatorio, laddove ha riferito che detta dichiarazione “non sarebbe stata corrispondente alla propria volontà perché redatta materialmente e preparata di suo pugno dall’accertatore nei cui confronti avrebbe anche sporto denuncia (ma del procedimento ipoteticamente iniziato a suo carico neanche ne è stato allegato l’esito).”

A norma dell’art. 2732 c.c., la confessione può essere revocata soltanto se il dichiarante, oltre a dimostrare la non verità della dichiarazione, provi che essa sia stata determinata da errore di fatto o da violenza.

Ad ogni modo, specificano i Giudici di Appello, le risultanze della prova testimoniale, non avrebbero comunque consentito di ascrivere alla palestra la responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c., in quanto il danneggiato non ha dimostrato che l’infortunio sia stato riconducibile all’attività lavorativa svolta dall’allenatore.

Oltre a ciò, il danneggiato non ha dedotto, né fornito la prova, dell’illiceità della condotta dell’allenatore ai sensi dell’art. 2043 c.c., presupposto per la sussistenza della invocata responsabilità ex art. 2049 c.c.

Difatti, nell’ambito degli infortuni subiti durante lo svolgimento delle attività sportive, ai fini della configurabilità dell’illecito è necessario accertare che la condotta dell’agente configuri almeno un comportamento colposo giuridicamente rilevante, civilmente sanzionabile in quanto commesso in violazione di una predeterminata regola cautelare.

Sono pacifici i principi di diritto secondo cui in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco. Questi principi sono stati richiamati anche di recente dalla Corte di Cassazione, proprio in una fattispecie in cui la lesione era stata provocata in occasione dell’esercizio di uno sport “di contatto”, di arti marziali (v. Cass. n. 4707/2023).

Ebbene, sulla scia di tali principi, negli sport da combattimento, “anche l’allenamento, benché mancante del profilo agonistico, è connotato dal contatto fisico e dall’uso della forza, per cui la soglia di tolleranza della violenza resta più elevata rispetto all’allenamento di uno sport a violenza soltanto eventuale e nel quale la componente dell’impatto fisico dovrebbe trovare maggiore giustificazione nelle modalità agonistiche, estranee all’allenamento”;

La circostanza che si trattasse di un allenamento, e non di una gara, non può deporre nel senso del carattere sproporzionato dell’uso della violenza nel singolo episodio.

Conseguentemente, la circostanza allegata dall’attore secondo cui veniva ferito dall’allenatore per violento colpo all’avambraccio destro durante l’allenamento,  in mancanza di specifiche allegazioni, è del tutto insufficiente alla qualificazione del fatto come illecito civile.

Il kick boxing è un’arte marziale che si caratterizza nello scambio di pugni e calci e dunque il fatto di essere stato colpito all’avambraccio, in mancanza di altre circostanze qualificanti l’azione, allegate o comunque emerse dall’istruttoria in primo grado, non può fare ritenere che il colpo sia stato inferto con una violenza sproporzionata ed esorbitante rispetto alle caratteristiche della disciplina sportiva.

Per tali ragioni la Corte di Appello accoglie l’appello principale e l’appello incidentale, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda di risarcimento proposta dall’attore.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

Panchina pubblica scheggiata provoca lesione alla gamba

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui