La Suprema Corte sancisce che la CTU ha funzione percipiente se verte su elementi già allegati e che lo 0,5% di invalidità determinato non è invalidità permanente.

La vicenda è stata decisa dalla Corte di Cassazione (Sez. VI, Ordinanza n.13736/2020) la quale ha statuito che anche quando la CTU può costituire fonte oggettiva di prova, è necessario che le parti deducano i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento delle rispettive domande.

A fronte di un sinistro stradale avvenuto nel 2014 la danneggiata adisce dapprima il Giudice di Pace di Napoli e successivamente il Tribunale di Napoli in funzione di Giudice d’appello onde ottenere il risarcimento dei danni fisici.

Il Giudice di primo grado rigettava le domande della donna per insussistenza di danno risarcibile in considerazione del fatto che la CTU stimava nello 0,5% i postumi di invalidità permanente subiti e una invalidità temporanea parziale nella misura del 75% per quattro giorni.

Il Giudice d’appello, invece, pur non riconoscendo nulla a titolo di danno biologico poiché  lo 0,5% costituisce un valore non previsto nelle Tabelle e non rilevante ai fini Medico-legali, riconosceva e liquidava il ristoro per il periodo di invalidità temporanea parziale.

La donna ricorre in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento del danno emergente e del postumo di invalidità permanente stimato nello 0,5%.

La Suprema Corte ritiene il ricorso inammissibile e avvalora le motivazione del Giudice d’appello sostenendo che “il giudice d’appello ha chiarito, in modo argomentato, le ragioni che l’hanno portato a disattendere le risultanze dell’espletata consulenza in ragione dell’individuazione di una percentuale (0,5%) di invalidità permanente ignota, oltre che al sistema tabellare, alla stessa medicina legale”.

E’ corretta, dunque, l’applicazione del principio secondo cui “in tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla consulenza tecnica d’ufficio ed alle correlate indagini peritali funzione “percipiente””, ma a condizione che “essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone” (Cass. Sez. 2, sent. 22 gennaio 2015, n. 1190, Rv. 633974-01).

Specificano inoltre gli Ermellini che, anche se la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, rimane sempre necessario che le parti deducano i fatti e gli elementi specifici.  

E che, in ogni caso, l’omesso esame della CTU sussiste solo se la sentenza impugnata non indica le ragioni per cui ha ritenuto errate le conclusioni del Consulente d’Ufficio, ovverosia gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici usati per adottare la decisione con essi contrastante.

In definitiva, in tema di risarcimento del danno, è possibile assegnare alla Consulenza Tecnica d’Ufficio, e alle correlate indagini peritali, funzione percipiente a condizione che essa verta su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un Tecnico sia in grado di accertare mediante le conoscenze e gli strumenti di cui dispone.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e condannato  la ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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