E’ considerato illecito endofamiliare quello commesso da un familiare a danno di altro soggetto appartenente alla medesima compagine domestica. Quindi si discute di illecito nel rapporto fra i coniugi e nel rapporto tra genitori e figli.

Sul rapporto fra i coniugi la giurisprudenza ha  riconosciuto che la violazione dell’obbligo di fedeltà, tradottasi in comportamenti lesivi dei diritti costituzionalmente garantiti del partner, ovvero dignità, reputazione e integrità fisica, fa sorgere in capo al soggetto leso il diritto al risarcimento del danno ex artt. 2043 e 2059 c.c.

Per invocare (e ottenere) la tutela risarcitoria, non è sufficiente la violazione del dovere di fedeltà di cui all’art. 143 c.c. (che può essere, in determinati casi, sanzionata con l’addebito della separazione), ma è necessario che tale violazione sia idonea a ledere un diritto costituzionalmente garantito del coniuge.

L’accertamento dell’illecito per violazione del dovere di fedeltà, che si sia realizzato con modalità lesive della dignità e della reputazione del coniuge, ha portato la giurisprudenza a riconoscere il risarcimento del danno di tipo non patrimoniale, nell’aspetto morale ed esistenziale.

In alcuni casi sussistono anche i presupposti per il risarcimento del danno biologico, se dalla violazione dell’obbligo di fedeltà derivi un pregiudizio all’integrità psico-fisica del soggetto danneggiato.

In ogni caso, sono tutti danni-conseguenza che dovranno essere provati dal coniuge che agisce in giudizio secondo i criteri della regolarità causale. Detto in altri termini, il coniuge che agisce in giudizio deve provare che la lesione subita (biologica o morale) sia la diretta conseguenza del comportamento tenuto dall’altro coniuge.

In questo alveo si inserisce anche la lealtà prematrimoniale, laddove il suo mancato rispetto sfoci nella violazione del dovere di realizzare una comunione di vita (anche) sotto il profilo sessuale e materno.

A seguito dell’evoluzione legislativa (L. 54/2006) e al lavorìo giurisprudenziale, è pacifico dunque che l’illecito endofamiliare genera il risarcimento dei danni a favore della vittima.

Prima di tali lavorii evoluzionistici, però, l’illecito civile commesso all”interno della famiglia rimaneva confinato nella mura domestiche e le azioni di risarcimento danni erano praticamente inesistenti.

Peraltro, la giurisprudenza, sino al recente passato, si è sempre dimostrata restìa, se non contraria, a definire positivamente le azioni risarcitorie promosse in tal senso argomentando che il risarcimento del danno nell’ambito dei rapporti familiari è costituito dalla incoercibilità dell’adempimento dei cosiddetti doveri coniugali.

Tale situazione, come detto, è sensibilmente mutata anche grazie al mutamento dei costumi comuni e della concezione della famiglia, non più intesa come struttura chiusa, ma come struttura fondata sulla uguaglianza e sulla reciproca solidarietà dei suoi membri tutti portatori di autonomi diritti soggettivi meritevoli di tutela giuridica.

A poco a poco è stata riconosciuta l’esistenza di nuovi danni  risarcibili all’interno della famiglia.

Per questo tipo di illecito il risarcimento del danno non patrimoniale è riconosciuto nel caso in cui la condotta di un coniuge, che violi uno o più doveri matrimoniali (fedeltà, assistenza morale e materiale, collaborazione, coabitazione, contribuzione ai bisogni della famiglia, ecc.), determini aggressione (e lesione) ai diritti inviolabili della persona dell’altro coniuge, come ad esempio la sessualità, l’integrità morale, la dignità, l’onore, la reputazione, ecc. grazie a  una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (ex Cass. SS.UU. n. 26972, 26973, 26974 e 269759 del 2008, sulla scia delle celeberrime sentenze gemelle Cass. Civ. n. 8827 e 8828 del 2003).

Ad aprire il solco della risarcibilità dei danni endofamiliari è stata proprio la Corte Costituzionale (C. Cost., n. 561 del 1987) che ha valorizzato il diritto alla sessualità quale essenziale modo di espressione della persona umana (C. Cost. n. 561 del 1987).

Tale diritto, dunque, è incluso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana, di cui all’art. 2 della Carta.

Su tale scia numerose sono state le pronunzie, anche di merito, favorevoli al riconoscimento di tale diritto.

Sul punto, tra le tante, il Tribunale di Napoli (sentenza 13 aprile 2007 n. 3996 – trattante la liquidazione del danno da morte del coniuge cagionata da fatto illecito commesso da terzi), ha riconosciuto al coniuge superstite, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di € 20.000, per la perdita da costui subita alla propria sfera sessuale.

In altre parole, la perdita del coniuge è stata valorizzata anche come perdita dell’esclusivo partner sessuale e ciò giustifica un risarcimento del danno non patrimoniale a tale titolo. 

Il diritto alla sessualità, non è solo un diritto personalissimo assoluto, ma anche una sorta di diritto di credito del coniuge nei confronti dell’altro (nell’ambito dei reciproci diritti doveri coniugali), la cui lesione ad opera di un terzo soggetto, determina un ingiusto danno risarcibile a favore del coniuge non direttamente danneggiato sul piano psicofisico.

Tale impostazione è stata confermata anche dal Giudice di legittimità nella nota pronunzia delle Sezioni Unite n. 26972 dell’11 novembre 2008 che ha fatto specifico riferimento al danno non patrimoniale “riflesso” cagionato al coniuge per l’impossibilità di rapporti sessuali nel caso di danno all’integrità psicofisica subito dall’altro coniuge, (che trova giustificazione nei diritti-doveri nascenti dal rapporto di coniugio).

Altra pronunzia della Suprema Corte (n. 13547 del 11 giugno 2009),  riguardante un caso di colpa medica che aveva cagionato a una donna un danno biologico del 20% con compromissione alla sfera sessuale, ha riconosciuto e ristorato il diritto alla sessualità della danneggiata, essendo lo stesso inquadrato tra i diritti inviolabili della persona, ovvero come “modus vivendi essenziale per l’espressione e lo sviluppo della persona”.

Il relativo principio di diritto può così riassumersi: “i diritti umani inviolabili che godono di copertura costituzionale non restano necessariamente assorbiti nel danno biologico, allorché abbiano una lesione propria come nel caso del diritto alla sessualità, che è per certo inquadrabile tra i diritti inviolabili della persona. La perdita o la compromissione della sessualità, per quanto anche solo attinente alla sua sfera psichica, costituisce quindi di per sé un danno che dev’essere valutato separatamente in modo autonomo quale danno non patrimoniale di per sé risarcibile”.

Tale lesione alla sfera sessuale, va pacificamente risarcita sia nell’ambito dei rapporti tra coniugi, come illecito endofamiliare, sia come illecito esofamiliare, vuoi direttamente alla persona che ha subito la lesione psicofisica da cui consegue il pregiudizio alla propria sfera sessuale, sia all’altro coniuge, come danno “riflesso“.

Ad ultimo si segnala anche la sentenza n. 23147/2013 della Suprema Corte. In sintesi, la Cassazione ha confermato la sentenza d’Appello, la quale, “pur procedendo ad una liquidazione unitaria del danno alla salute, ha distinto nella motivazione tre voci di danno: biologico, morale ed esistenziale. Quest’ultimo non costituisce però – rileva la Suprema Corte – un’autonoma categoria di danno, venendo in rilievo soltanto come sintagma descrittivo della lesione di un diritto fondamentale della persona……La Corte d’Appello ha, infatti, posto in luce come, nel caso di specie, il danneggiato abbia lamentato, oltre al danno biologico (cioè alla lesione della salute) non già un generico pregiudizio esistenziale, ma un «danno non patrimoniale conseguente all’impossibilità di realizzare la [propria] persona sul piano sessuale, di realizzarsi attraverso la formazione di un nucleo familiare con figli”.

Altro illecito endofamiliare di cui si è discusso vivacemente in dottrina e in giurisprudenza è quello derivante dalla Infedeltà.

E’ necessario partire dal presupposto che l’infedeltà lede l’onore e la dignità del coniuge che la subisce e che tale lesione, in determinate ipotesi, rileva dal punto di vista giuridico.

Come noto, non vi è stretta corrispondenza tra la violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio e ingiustizia del danno. La violazione del dovere di fedeltà costituisce il mezzo attraverso cui può determinarsi la lesione di interessi meritevoli di tutela, quali l’onore e la reputazione, meritevoli di tutela.

Interessante al riguardo la pronunzia del Tribunale di Venezia (3 luglio 2006), riguardante una richiesta di risarcimento proposta dalla moglie nei confronti del marito e della sua nuova compagna. 

Il Tribunale ha accolto la domanda risarcitoria della donna non tanto per la violazione dell’obbligo di fedeltà, di per sé idonea a sorreggere la pronuncia di addebito alla separazione, quanto per la violazione dei diritti inviolabili della persona.

In particolare il Tribunale di Venezia ha evidenziato come la condotta posta in essere dal marito, in aperto spregio ai doveri nascenti dal matrimonio, oltre ad essere stata direttamente lesiva della sfera psicofisica della moglie ne abbia anche leso la sua dignità. Infatti l’attrice ha dovuto prendere atto del fallimento dell’unione coniugale in termini drammatici, cogliendo in flagrante il marito il quale, quasi nel puerile desiderio di nascondere l’avvenuta relazione extra coniugale, aggrediva la moglie facendosi spalleggiare anche dalla compagna del momento. 

In altri termini, la mera infedeltà, di per sé, non determina automaticamente un ingiusto danno risarcibile, nemmeno se essa si risolva in una relazione omosessuale (Corte Appello Brescia sentenza n. 56/2007).

A questo riguardo, infatti, nell’ultimo decennio si sono susseguite numerose pronunce, sia di merito che di legittimità, che hanno avvalorato la lesione dell’onore e della reputazione (se significativi) del coniuge tradito e non tanto l’adulterio in sé.

Altro caso ancora trattato dal Tribunale di Venezia (sentenza n. 145/2009) di infedeltà e di violazione degli obblighi di assistenza e coabitazione, che ha considerato la condotta del marito gravemente contraria ai doveri matrimoniali, perché gravemente lesiva della dignità e integrità morale della moglie. (Nello specifico, la donna, in conseguenza delle ripetute condotte illecite del consorte -che si era allontanato dalla casa coniugale per andare a vivere con altra donna ed aveva offeso la dignità della moglie sia dal punto di vista affettivo che sessuale e relegandola a mera “badante” della propria madre-, ha accusato patologie ansiogene e depressive accertate dal Consulente d’Ufficio e perdurate per circa due anni.

La lesione della dignità, causata dalla infedeltà, è dunque pacificamente riconosciuta come autonoma posta di danno risarcibile nell’alveo del danno non patrimoniale.

Aggiungasi, per completezza espositiva, che più volte la Corte di Cassazione si è occupata del tradimento e più volte ha ricordato che una relazione extraconiugale non è sufficiente, di per sé, per la declaratoria di addebito della separazione. Ciò che conta, infatti, è verificare se la violazione del dovere di fedeltà coniugale sia stata la causa della crisi matrimoniale o se, invece, ne sia stato l’effetto.

Il secondo presupposto da tenere sempre in considerazione è che, nel giudizio di bilanciamento tra gli interessi dei coniugi, l’ingiustizia del danno non può essere ravvisata nel fatto della rottura del vincolo coniugale, perché ciascun coniuge ha diritto di porre liberamente fine al rapporto coniugale.

Già da tempo la Cassazione (sentenza n. 9801 del 2005) ha infatti precisato che i rimedi tipici previsti dal diritto di famiglia (separazione e divorzio), sono compatibili e concorrenti con l’azione aquiliana di risarcimento danni e che la mera violazione dei doveri matrimoniali, o anche la pronuncia di addebito della separazione non sono di per sé fonte di una responsabilità risarcitoria. Ha osservato la Suprema Corte che “la separazione o il divorzio sono strumenti accordati dall’ordinamento per porre rimedio a situazioni di impossibilità di prosecuzione della convivenza o di definitiva dissoluzione del vincolo e che diversa è la funzione dell’assegno di separazione o di divorzio avente natura strettamente assistenziale, rispetto alla tutela offerta dal risarcimento dei danni che assolve, di regola, ad una funzione compensatoria; oltretutto la perdita del diritto all’assegno di separazione a causa dell’addebito, può trovare applicazione soltanto in via eventuale, in quanto colpisce solo il coniuge che ne avrebbe diritto e non quello che deve corrisponderlo e non opera quando il soggetto responsabile non sia titolare di mezzi economici”.

Sottolinea la citata pronunzia del 2005 che “per configurarsi un danno ingiusto, risarcibile ex art. 2043 c.c., vi deve essere un comportamento illecito dotato di una certa efficacia lesiva perché, diversamente, all’interno della famiglia deve sussistere tra i coniugi quello spirito di comprensione e di tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza”.

Non tutte le infedeltà, dunque, sono motivo di addebito della separazione e tantomeno fonte di risarcimento del danno.

La posizione assunta dalla Cassazione non è mutata negli anni successivi. Infatti a distanza di anni  (sentenza 15 settembre 2011 n. 18853 ed a seguire sentenza 1 giugno 2012 n. 8862) ha ribadito che l’infedeltà che ha cagionato la lesione alla dignità e all’onore del coniuge tradito rappresenta un illecito civile suscettibile di risarcimento danni e che sulla scia  di tale orientamento vengono condannate le infedeltà coniugali consumate in modo plateale e che hanno leso la dignità e l’onore di chi le subisce.

Meritevole, infine, di breve cenno è la sentenza della Cassazione 10 aprile 2012, n. 5652 ove, con toni più raffinati e più aderenti alla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., si legge “nell’ambito di un vasto orientamento dottrinale e giurisprudenziale è stata da tempo enucleata la nozione di illecito endofamiliare, in virtù della quale la violazione dei doveri familiari non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell”art. 2059 c.c..“.

Per completezza espositiva, un breve cenno agli illeciti endofamiliari fra genitori e figli.

Anche nel rapporto fra genitori e figli negli ultimi anni si è registrata una maggiore sensibilità dei Giudici di merito e di legittimità rispetto ai comportamenti illeciti perpetrati.

Integrano la condotta illecita la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione, educazione, accudimento e comunanza fisica e morale della prole, disinteresse generalizzato.

Il compito (obbligo giuridico) dei genitori di educare e mantenere i figli, secondo quanto previsto dagli artt. 147 e 148 c.c., è considerato eziologicamente connesso alla procreazione.

Qualora si verifichino gravi inadempienze o circostanze che arrecano pregiudizio al minore può essere riconosciuto il risarcimento dei danni, a carico del genitore “inadempiente”, nei confronti del minore e nei confronti dell’altro genitore.

Avv. Emanuela Foligno

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