La donna, colpita da ictus cardioembolico, lamentava inadeguati trattamenti sanitari ma aveva omesso di recarsi a un controllo programmato

Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l’esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che non”, causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 8821/2021 pronunciandosi sul ricorso di una paziente che si era vista respingere, in sede di merito, la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti della Asl per i danni che assumeva di aver subito a causa di trattamenti sanitari inadeguati. Nel rivolgersi alla Suprema Corte la ricorrente contestava la decisione della Corte di appello con riguardo all’accertamento del nesso di causa tra la condotta dei sanitari che avevano prescritto farmaci anticoagulanti alla paziente e l’evento di ictus cardioembolico occorso alla stessa, nonché dell’adeguata informazione sui rischi connessi alla non corretta attuazione della terapia e dei controlli prescritti.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto non fondata la doglianza evidenziando come la predetta decisione fosse, in diritto, certamente conforme ai principi relativi all’accertamento del nesso causale in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria.

Nella specie, il Collegio distrettuale, correttamente applicando i principi di diritto in materia aveva escluso, in fatto, che la condotta dai sanitari che avevano in cura la donna potesse considerarsi causa dell’ictus cardioembolico occorso alla stessa. Aveva infatti rilevato che la terapia anticoagulante prescritta dai medici era stata corretta, quanto meno fino all’ultimo controllo del 4 aprile 2007, e che la paziente aveva omesso di recarsi al controllo programmato per il 3 maggio 2007 allo scopo di verificare i suoi valori INR e di adeguare agli stessi la terapia.

Essendo l’ictus cardioembolico sopravvenuto il 15 maggio 2007 (cioè dodici giorni dopo il mancato controllo), la Corte aveva concluso che l’evento fosse causalmente riconducibile esclusivamente all’omissione del suddetto controllo e quindi imputabile integralmente alla condotta della stessa paziente. Sempre in fatto, aveva altresì ritenuto provato, in via presuntiva, che la donna (in cura da oltre dieci anni presso il nosocomio e sempre sottoposta, in tutto tale periodo, a controlli almeno mensili) fosse stata adeguatamente informata dei rischi connessi all’omissione dei controlli in questione. I suddetti accertamenti di fatto risultavano operati dai giudici di merito sulla base della valutazione dei fatti storici principali emergenti dagli elementi istruttori acquisiti e erano stati sostenuti da adeguata motivazione, non apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico.

La redazione giuridica

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