«Il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacità di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in occasione di una sua successiva revisione»

È quanto emerge dall’ultima pronuncia della Consulta, la n. 114/2019.
Il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 774, primo comma (rectius: primo comma, primo periodo), del codice civile, nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno.

La vicenda

Il giudizio era stato originato dalla richiesta di un’amministratrice di sostegno di essere autorizzata dal giudice tutelare a disporre una donazione in nome e per conto della beneficiaria di tale amministrazione di sostegno.
Sentita personalmente dal giudice, la beneficiaria aveva confermato tale desiderio e il giudice aveva verificato che il suo patrimonio aveva la capienza necessaria per disporre la donazione.
Per il Tribunale di Vercelli dunque, tale «richiesta, alla luce delle indagini svolte, risultava caratterizzata da intrinseca congruità, genuinità, era passibile di sicura condivisione».
Ebbene nella ricostruzione compiuta dal giudice a quo, il sistema del codice civile non consentirebbe ai beneficiari di amministrazione di sostegno di effettuare valide donazioni neppure per il tramite dell’amministratore.
Ed invero, la fattispecie non è disciplinata espressamente da norme di diritto positivo e non è stata fatta oggetto di specifiche pronunce della Corte di cassazione. Il problema è stato affrontato soltanto in sede dottrinale e dalla giurisprudenza di merito e risolto in senso negativo.
A detta del Tribunale di Vercelli la scelta del legislatore del 2004 di non prevedere la possibilità, in capo ai beneficiari di amministrazione di sostegno, di effettuare valide donazioni, neppure per il tramite o con l’ausilio del soggetto incaricato di garantire loro protezione e con le ulteriori cautele del caso, è «evidentemente irragionevole, tanto intrinsecamente, quanto in riferimento a casi analoghi».

La pronuncia della Corte Costituzionale

Secondo il Giudice delle Leggi il punto di partenza da cui muove il giudice rimettente ossia che il divieto di donazione stabilito dalla disposizione censurata operi anche nei confronti dei beneficiari di amministrazione di sostegno, è errato e non condivisibile.
L’orientamento costantemente seguito dalla Corte di cassazione, infatti, è nel senso di ritenere che tutto ciò che il giudice tutelare, nell’atto di nomina o in successivo provvedimento, non affida all’amministratore di sostegno, in vista della cura complessiva della persona del beneficiario, resta nella completa disponibilità di quest’ultimo.
L’art. 774, primo comma, primo periodo, cod. civ. stabilisce che «[n]on possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni». Tale divieto di donare è sempre stato inteso come rivolto in modo esclusivo agli interdetti, agli inabilitati e ai minori di età. Inoltre, il codice civile consente al donante, ai suoi eredi o aventi causa di proporre l’azione di annullamento qualora la donazione sia disposta «da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui la donazione è stata fatta» (art. 775, primo comma, cod. civ.).
La disciplina dell’amministrazione di sostegno, in particolare, non contiene alcuna espressa previsione di raccordo con le disposizioni in materia di atti personalissimi quali la donazione.
Ma il silenzio del legislatore non ha impedito che in sede giurisprudenziale si chiarissero i rapporti intercorrenti tra l’amministrazione di sostegno e i coesistenti istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione.
La giurisprudenza costituzionale ha già chiarito che il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, diversamente dal provvedimento di interdizione e di inabilitazione, non determina uno status di incapacità della persona (sentenza n. 440 del 2005), a cui debbano riconnettersi automaticamente i divieti e le incapacità che il codice civile fa discendere come necessaria conseguenza della condizione di interdetto o di inabilitato.
Al contrario, come risulta dalla giurisprudenza di legittimità, l’amministrazione di sostegno si presenta come uno strumento volto a proteggere senza mortificare la persona affetta da una disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 27 settembre 2017, n. 22602).

Amministrazione di sostegno e altri istituti “vicini”

Sin dalle sue prime pronunce in materia, la Corte di cassazione ha affermato che la disciplina introdotta dalla legge n. 6 del 2004 «delinea una generale capacità di agire del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, con esclusione di quei soli atti espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita l’amministrazione medesima».
Ne consegue che il giudice tutelare deve limitarsi, in via di principio, a individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento, «senza peraltro determinare una limitazione generale della capacità di agire del beneficiario»: il giudice tutelare «non si muove, come il giudice della interdizione, nell’ottica dell’accertamento della incapacità di agire della persona sottoposta al suo esame […], ma nella diversa direzione della individuazione, nell’interesse del beneficiario, dei necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento lo ritenga inidoneo» (Cass., sez. prima civ., n. 25366 del 2006.
È significativo ricordare che l’applicazione di tale orientamento ha recentemente condotto la Corte di cassazione a ritenere che al beneficiario di amministrazione di sostegno non si estende il divieto di contrarre matrimonio (atto personalissimo, al pari della donazione che qui rileva), previsto per l’interdetto dall’art. 85 cod. civ., salvo che il giudice tutelare non lo disponga esplicitamente con apposita clausola, ai sensi dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ.
Anche in tale occasione la Corte di cassazione ha ribadito che deve escludersi «una generalizzata applicazione delle limitazioni dettate per l’interdetto, per via di analogia, al beneficiario dell’amministrazione di sostegno», dato che quest’ultima misura è sempre volta a valorizzare le residue capacità del soggetto debole (Cass., sez. prima civ., n. 11536 del 2017).

Il beneficiario di amministratore di sostegno ha capacità di donare

In questa ricostruzione del sistema codicistico assume dunque importanza centrale l’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ., secondo cui «[i]l giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni».
Ciò implica che in assenza di esplicita disposizione da parte del giudice tutelare non possono ritenersi implicitamente applicabili divieti e limitazioni previsti dal codice civile ad altro fine.
Tale percorso ermeneutico conduce a ritenere che il beneficiario di amministrazione di sostegno conserva la sua capacità di donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’ufficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno o in occasione di una sua successiva revisione – tramite l’estensione.
Una tale interpretazione risponde del resto al principio personalista, affermato anzitutto dall’art. 2 Cost., che tutela la persona non solo nella sua dimensione individuale, ma anche nell’ambito dei rapporti in cui si sviluppa la sua personalità: rapporti che richiedono senz’altro il rispetto reciproco dei diritti, ma che si alimentano anche grazie a gesti di solidarietà (sentenza n. 119 del 2015). Nell’architettura dell’art. 2 Cost. l’adempimento dei doveri di solidarietà costituisce un elemento essenziale tanto quanto il riconoscimento dei diritti inviolabili di ciascuno, sicché comprimere senza un’obiettiva necessità la libertà della persona di donare gratuitamente il proprio tempo, le proprie energie e, come nel caso in oggetto, ciò che le appartiene costituisce un ostacolo ingiustificato allo sviluppo della sua personalità e una violazione della dignità umana.
Per questi motivi, la corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 774, primo comma, primo periodo, del codice civile, sollevate dal Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli.

Dott.ssa Sabrina Caporale

 
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