Nella liquidazione del danno non patrimoniale, dalla sorte capitale va aggiunta la rivalutazione secondo il meccanismo della previa devalutazione e successiva rivalutazione anno per anno (Cassazione Civile, sez. III, 09/05/2024, n.12751).
Il caso
Con sentenza del 12 novembre 2012, il Tribunale di Enna accertava la responsabilità medica dell’A.S.P. di Enna per il decesso del paziente e conseguentemente la condannava a risarcire il danno non patrimoniale alla madre nella misura di 155.000 euro e a ciascuno dei 4 fratelli nella misura di 23.000 euro.
La Corte d’appello di Caltanissetta (sent. 30 maggio 2019) condannava l’A.S.P. a risarcire agli eredi la somma di 200.248,69 euro oltre interessi legali e a ciascuno di loro in proprio la somma di 27.714,35 euro oltre interessi legali.
Il ricorso in Cassazione
L’A.S.P. ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la incomprensibilità dei criteri utilizzati per la liquidazione del danno.
Ebbene, i Giudici di Appello hanno osservato che “… la rivalutazione della somma liquidata e gli interessi sulla somma rivalutata assolvono due funzioni diverse, mirandola prima alla reintegrazione del danneggiato nella situazione patrimoniale anteriore all’illecito, mentre gli interessi hanno natura compensativa, con la conseguenza che questi ultimi sono compatibili con la rivalutazione… Tale “interesse” va poi applicato non già alla somma rivalutata in un’unica soluzione alla data della sentenza, bensì … sulla “somma capitale” originaria rivalutata di anno in anno”.
Il calcolo del danno non patrimoniale
La S.C. rammenta che cumulati rivalutazione e interessi, al fine di evitare la c.d. over compensation del danno, è necessario effettuare una “devalutazione” nominale delle voci liquidate in valuta attuale, rapportandole all’equivalente della data di insorgenza del danno, per concedere quindi alla rivalutazione, applicando gli interessi alle somme che man mano si incrementano per effetto della rivalutazione (con cadenza mensile alla stregua della mensile variazione degli indici Istat), interessi che, di tempo in tempo applicati sulla variabile base secondo il tasso vigente all’epoca di riferimento, si accantonano e si cumulano senza rivalutazione.
Ergo, a partire dal danno complessivamente subito, si determina il “danno iniziale”, inteso come danno finale devalutato alla data del fatto; questo dunque viene successivamente rivalutato fino alla data della sentenza, al contempo calcolando gli interessi ponderati via via maturati. Si arriva, in tal modo, a determinare l’importo esatto degli interessi da corrispondere per la mancata completa disponibilità del risarcimento dovuto.
Nel caso di specie, dunque, gli importi sono stati liquidati correttamente. L’Azienda sanitaria, da un lato riconosce che il Giudice d’appello si è riportato all’insegnamento nomofilattico, dall’altro però lamenta, in sostanza, che non si comprenderebbe come il Giudice ha effettuato il calcolo.
Ed allora, se il metodo si reputa corretto, la censura svolta tende a sostenere la necessità di controllare il calcolo della corte territoriale per verificare se eseguito correttamente: ma la correttezza di un calcolo in sé è una questione fattuale, e non di legittimità.
Affermare che “non si capisce” e che mancano “elementi chiari e univoci” nell’operato del Giudice di merito è totalmente contraddittorio con il coevo riconoscere che lo stesso Giudice ha seguito l’insegnamento nomofilattico.
Il ricorso viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno