Il Giudice di secondo grado (sent. 10/8/2020) ha rideterminato in diminuzione l’entità della condanna pronunciata dal primo Giudice a carico della compagnia assicuratrice e del responsabile del veicolo danneggiante, per il risarcimento dei danni subiti dalla vittima in conseguenza del sinistro stradale dedotto in giudizio.

La Corte di Appello ha rilevato l’erroneità della decisione del primo Giudice nella parte in cui aveva illegittimamente proceduto alla personalizzazione del danno non patrimoniale sofferto dalla vittima a causa del sinistro, sotto altro profilo ha confermato quanto stabilito riguardo alla pretesa risarcitoria avanzata per l’asserita perduta possibilità di accettare una proposta di lavoro.

Nel caso di specie, il ricorso risulta proposto tardivamente (febbraio del 2021), successivamente alla scadenza del c.d. termine lungo decorso dalla data di deliberazione della sentenza d’appello (del 30/01/2020), nella specie pari a sei mesi, secondo la disciplina applicabile ratione temporis in considerazione della data di introduzione del giudizio (nell’aprile del 2013).

Ad ogni modo, riguardo la pretesa risarcitoria avanzata e inerente alla perdita della possibilità di accettare la proposta di lavoro dedotta in giudizio, la Corte territoriale ha esplicitamente sottolineato come, sulla base dei contenuti delle testimonianze acquisite al giudizio, la ragione della rinuncia alla proposta lavorativa doveva essere ricondotta a una spontanea decisione della stessa vittima.

Sulla drastica riduzione del danno non patrimoniale, nella parte relativa alla c.d. personalizzazione, la Corte territoriale ha espressamente evidenziato che la vittima aveva documentato di essere iscritto a una società sportiva affiliata alla federazione triathlon e di essere regolarmente tesserato nella pratica di tale disciplina, le testimonianze sul punto hanno confermato la cessazione di tale attività sportiva, e dunque è stata ritenuta sussistente una personalizzazione del danno nella misura del 15%.

L’approdo dei Giudici di appello è del tutto logico e giuridicamente corretto.

Il ricorso in Cassazione

La vittima ha argomentato in Cassazione le sue censure in termini privi di specificità, senza alcun rispetto degli oneri di allegazione imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., tanto in relazione all’eventuale riproduzione dell’atto, quanto con riguardo alla relativa alla localizzazione in questo giudizio di legittimità; egli si è limitato a contestare un vizio di motivazione mediato da un’errata ricostruzione dei fatti di causa; e tanto, sulla base di una impostazione critica non consentita in sede di legittimità.

Quando il Giudice di secondo grado riduce l’ammontare del danno, non si configura una violazione del principio tra chiesto e pronunciato.

La misura concreta dell’entità dei danni rivendicati dalla vittima e riconoscibili dal Giudice di merito non dipende dall’eventuale non contestazione o riconoscimento del danneggiante, ma di una discrezionale valutazione qualitativa di fatti, come tale non suscettibile di confessione, limitandosi a corrispondere a quanto effettivamente comprovato dall’attore, che è onerato della prova dell’entità dei danni subiti a seguito del sinistro.

Ne deriva che, una volta che l’assicurazione abbia devoluto in appello il tema della correttezza della quantificazione dei danni operata dal primo Giudice, quello di secondo grado è pienamente autorizzato a riesaminare la questione e a rideterminare l’entità dei danni effettivamente sofferti dall’originario attore secondo quanto comprovato dagli atti di causa.

Conclusivamente, la S.C. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio (Cassazione Civile, sez. III, 27/03/2024, n.8261).

Avv. Emanuela Foligno

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