L’accertamento medico-legale della patologia per l’amministratore di sostegno

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Quanto viene dedotta una patologia psichica o fisica ai fini della nomina di un amministratore di sostegno, devono esserci accertamenti clinici certi e univoci.

“L’ambito dei poteri da conferire all’amministratore di sostegno deve rispondere alle specifiche finalità di tutela del soggetto amministrato e non può prescindere da risultanze espressive di un chiaro e significativo stato di menomazione o difficoltà della persona che s’ipotizza bisognevole di tutela”. È quanto stabilito dalla Suprema Corte con la pronuncia in esame (Cassazione Civile, sez. I, 27 maggio 2024, n. 14689).

Il caso

Viene adito il G.T. del Tribunale di Termini Imerese chiedendo la nomina di un amministratore di sostegno in favore di una donna, rilevando che la stessa era affetta da un grave stato di alterazione psicofisica che ne riduceva notevolmente la capacità di gestire autonomamente il patrimonio.

Il Giudice Tutelare accoglieva il ricorso e nominava come amministratore di sostegno un soggetto estraneo alla famiglia, specificandone dettagliatamente i poteri.

La donna posta in amministrazione proponeva reclamo avverso il decreto e ne chiedeva la revoca. Il Procuratore Generale chiedeva il rigetto del reclamo. La CdA di Palermo, con decreto, rigettava il reclamo.

Il ricorso in Cassazione

L’amministrata, quindi, propone ricorso per Cassazione che accoglie tutte le doglianze.

La donna censura che i Giudici di Appello non abbiano provveduto ad accertare la sussistenza di una patologia psichiatrica che legittimasse la misura applicata. E che tale misura, pertanto, era stata disposta in forma sanzionatoria, per i rifiuti opposti dalla donna di partecipare alle operazioni del C.T.U. e di farsi esaminare da quest’ultimo. Censura anche che siano stati erroneamente valutati i vari elementi e i documenti acquisiti, distorcendone il contenuto, dal quale invece non sarebbe stato possibile desumere indici rivelatori dell’incapacità di gestire i propri interessi.

La Corte d’Appello, infatti, aveva ritenuto che la condotta oppositiva e non collaborativa nei confronti del CTU costituiva un argomento di prova, sintomo dell’incapacità di percepire l’importanza degli atti istruttori ai quali la stessa era stata chiamata doverosamente a collaborare nel suo esclusivo interesse.

La Corte di Cassazione sostiene, invece, che “la condotta non collaborativa” della donna e il “rifiuto di sottoporsi alle visite prescritte” non integrano un indice significativo di una condizione di salute tale da rendere necessaria la nomina contestata e “né tale condotta oppositiva esclude che la ricorrente sia in realtà una persona lucida, per quanto conducente un tipo di vita apparentemente inconsueto”.

Le motivazioni per la nomina di un amministratore di sostegno

La nomina di amministratore di sostegno presuppone una condizione attuale, se non d’incapacità, quantomeno di seria difficoltà in cui versi la persona. Il che, quindi, esclude la legittimazione a richiedere l’amministrazione di sostegno per quella che si trovi nella piena capacità psico-fisica o tenga condotte di vita solo apparentemente anomale, poiché non occorre che la stessa versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi o nella condizione di lederli gravemente.

In questi casi il Giudice è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli dall’art. 404 c.c. ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione) e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva (Cass. civ., n. 12998/2019).

Avv. Emanuela Foligno

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