Le norme intervenute negli ultimi due lustri, sul tema dei permessi per assistenza alle persone in condizione di disabilità grave, hanno  progressivamente limitato il grado di parentela che il lavoratore che richiede di godere dei permessi deve avere con chi sia stato riconosciuto persona handicappata in situazione di gravità ai sensi della legge 104/92 art. 3 comma 3.

Si tratta di restrizioni introdotte per reagire a comportamenti abusivi e contra legem ed in un ottica di limitazione dei costi che, sotto qualsiasi punto di vista, nel corso della vita ultraventennale della legge hanno portato a stravolgere la natura e la funzione dell’istituto per come originariamente previsto.

La problematica affrontata – nel caso di specie – dalla Consulta è particolarmente delicata, tanto da essere oggetto di scrutinio anche della giurisprudenza sovranazionale.

Il ragionamento della Corte tuttavia esula dalle motivazioni poste a base di quest’ultima giurisprudenza, pure citata, in termini di rapporti familiari per le coppie del medesimo sesso che non abbiano accesso al matrimonio o ad istituti analoghi.

Non si riscontra e non sussiste violazione delle norme sovranazionali poiché la regolamentazione dei rapporti familiari è materia che rientra nell’ambito della discrezionalità propria dello Stato, per ragioni storiche, culturali, sociali o politiche.

La tutela del nucleo familiare di fatto ai sensi dell’art. 2 Cost. è nel caso dei permessi per assistenza, meramente incidentale.

Trova quindi ulteriore conferma il fatto che la necessità di assistenza configura un diritto primario, intangibile ed inalienabile in capo alla persona con disabilità, al di la della composizione anagrafica del nucleo familiare nel quale è inserito.

Secondo l’argomentato della Corte infatti la persistente differenziazione – in materia – basata sulla natura del vincolo esistente, darebbe luogo ad irragionevole disparità di trattamento lasciando il soggetto bisognoso di cure, senza il necessario supporto e senza la piena assistenza che deriva dall’essere inserito in una formazione sociale di cui lo stesso si è assunto la responsabilità contribuendo a crearla.

Si tratta di una differenziazione che non ha base giuridica utile, considerato che la ratio dell’intero impianto normativo della legge 104 è quello di garantire la tutela della salute psicofisica della persona affetta da handicap grave, nonché della dignità umana e dei diritti inviolabili dell’uomo, considerati beni primari non collegabili geneticamente alla preesistenza di un legame matrimoniale.

Tra le righe si legge quindi un’ulteriore apertura verso le famiglie di fatto, da intendersi come formazione sociale nella quale si sviluppa la personalità dei soggetti coinvolti, che assumono obblighi di natura morale e sociale, rientranti nel novero delle obbligazioni naturali che, in linea generale, si differenziano da quelle giuridiche in quanto non coercibili e non assistite da rimedi che consentano di esigere la prestazione, secondo la prevalente interpretazione dottrinaria fondata sull’art. 2034 c.c.

Per quanto concerne la particolare categoria delle obbligazioni assunte all’interno di un rapporto di stabile convivenza (parafamiliari) si consideri che la natura dei rapporti che intercorrano tra conviventi è da ricondurre preliminarmente ad una dimensione morale e solidaristica, con il risultato che quanto dato e prestato reciprocamente risulta irripetibile, poiché trattasi di obbligazione naturale nel senso sopra specificato.

In base alla sentenza in commento si aprono possibilità per garantire tutela a rapporti interpersonali di tipo nuovo e non previsto dall’ordinamento, basata su una lettura aperta ed evolutiva dell’art. 12 CEDU che garantisce il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali applicabili che ne regolino l’esercizio.

E’ un diritto garantito anche alle persone disabili, come si evince dagli articoli 19, 21 e 23 della Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con disabilità, ratificata dalla Repubblica con legge 18/2009.

Nonostante la rilevanza della questione, che conferma l’estrema fluidità della materia, normalmente risolta in base a parametri tanto giuridici che alle modificazioni relazionali e culturali che afferiscono alla società sottostante, quest’ultima non è la chiave che la Consulta ha utilizzato per risolvere il caso concreto alla sua attenzione.

Il punto centrale – lo stesso che ritorna nella giurisprudenza della Consulta negli ultimi anni- è e rimane la centralità della finalità perseguita dalla legge 5.2.1992 n. 104 nel suo complesso finalità che rimane, anche considerando le modifiche introdotte in quasi quattro lustri di applicazione, la tutela della salute psicofisica del disabile, finalità che postula anche interventi di natura economica a sostegno di chi si prenda in concreto cura della persona con disabilità, interventi che però rimangono una conseguenza della finalità primaria della legge.

Sappiamo che la dottrina prevalente definisce il benessere e la qualità della vita come il livello di soddisfazione con cui una persona accetta e gradisce il proprio momento esistenziale e le circostanze attuali in cui vive a prescindere dall’habitat e dalle proprie condizioni di salute e, pur non essendo ragionevole pensare che il giudice delle leggi si occupi specificamente di benessere personale, ciò che è possibile confermare è che il permesso mensile retribuito (e gli altri benefici connessi al riconoscimento dello status di persona handicappata in situazione di gravità) è espressione dello stato sociale che eroga provvidenze in forma indiretta, tramite facilitazioni ed incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave.

Trattasi – nell’argomentato della sentenza – di uno strumento di politica socio assistenziale basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap grave prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale.

La legge, e la sentenza restano quindi neutri sul tipo di rapporto sottostante alla richiesta di permessi, nella considerazione prevalente che l’interesse ed il diritto da tutelare sono quelli del disabile che diritto alla massima stabilità e continuità assistenziale, possibile, prova di tutto questo si ha empiricamente nelle aule dei Tribunali, in base alla circostanza che le controversie in materia di legge 104, sono instaurate a nome della persona con disabilità, dal cui diritto derivano i benefici ai propri congiunti.

Avv. Silvia Assennato

(Foro di Roma)

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