Il licenziamento per giusta causa deve intendersi misura giustificata solo quando nessun altra sanzione risulti più idonea a ricondurre il rapporto di lavoro su di un piano di accettabile correttezza 

È quanto emerge da una recente sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Roma, n. 2326/2019.

La vicenda

La vicenda trae origine dal licenziamento di un lavoratore dipendente di una ditta edile, con la qualifica di operaio, per non aver tempestivamente comunicato il rifiuto del collega ad eseguire il massetto del terrazzo dell’appartamento di proprietà della committente e, comunque, per non aver provveduto ad eseguire le direttive datoriali ricevute.
Si trattava di un licenziamento, avvenuto per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile nonché, ai sensi dell’articolo 69 del contratto collettivo di settore, il quale prevede che il licenziamento possa essere comminato dal datore di lavoro “in caso di grave insubordinazione o rifiuto di obbedienza d’ordine”.
A proporre ricorso contro il provvedimento espulsivo era stato lo stesso operaio, il quale sosteneva che l’addebito contestatogli fosse del tutto insussistente e che la realizzazione del massetto in questione non era stata effettuata a causa delle condizioni atmosferiche (pioggia intermittente).
Nel corso dell’istruttoria i testimoni intervenuti avevano confermato tutto quanto. E a parere dell’adito giudice, l’episodio contestato non poteva dirsi di gravità tale da ledere in modo irreversibile il vincolo fiduciario esistente tra datore di lavoro e lavoratore, né configuravano, alla luce del tenore letterale dell’articolo 69 contratto collettivo di settore, un atto di insubordinazione configurabile come “grave o un rifiuto di obbedienza d’ordine comunque connotato da gravità, posto che- secondo quanto confermato da un teste – agli ordini impartiti l’operaio non aveva opposto alcuna resistenza.

Il giudizio di proporzionalità nel licenziamento per giusta causa

In proposito, ricorda il giudice capitolino che “per la dichiarazione di illegittimità di un licenziamento per giusta causa, il giudicante deve necessariamente procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della mancanza del lavoratore e che tale valutazione – che si risolve in un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione adeguata e logica – va condotta non già in astratto ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, non solo inquadrando l’addebito nelle specifiche modalità del rapporto, ma anche tenendo conto della natura del fatto contestato, da esaminare non solo nel suo contenuto obiettivo ma anche in quello soggettivo e intenzionale, nonché di tutti gli altri elementi idonei a consentire l’adeguamento della disposizione normativa dell’art. 2119 c.c. – richiamato dall’art. 1 l. n. 604 del 1966 – alla fattispecie concreta”.
La gravità del fatto deve essere in altre parole, valutata sulla base di una serie di elementi che non possono esaurirsi nelle dirette conseguenze meramente economiche prodotte al datore di lavoro dalla condotta contestata, ma debbono allargarsi sino a riguardare sia il grado di responsabilità collegato alle mansioni affidate al lavoratore, sia le modalità della condotta, specie se rivelatrici di una particolare propensione alla trasgressione, sia l’incidenza dei fatti sulla permanenza del vincolo fiduciario che caratterizza lo specifico rapporto di lavoro (cfr. sul punto Cass., sez. lav., 11-02-2000, n. 1558Cass., sez. lav., 12-11-2003, n. 17058.).

L’extrema ratio

Ciò in quanto, il licenziamento per giusta causa – trattandosi della più grave delle sanzioni disciplinari può considerarsi legittimo solo se, valutato ogni aspetto del caso concreto, la mancanza del lavoratore, minando profondamente l’elemento fiduciario costituente il presupposto fondamentale della collaborazione tra le parti del rapporto di lavoro, sia di tale gravità che ogni altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro. In particolare, va precisato che nel licenziamento per giusta causa ciò che rileva nella valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso non è l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale arrecato dal dipendente al datore di lavoro, bensì la ripercussione sul rapporto di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti ( cfr. Cass., sez. lav., 03-03-2000, n. 2404 ; Cass., sez. lav., 29-09-2003, n. 14507. nonché Cass., sez. lav., 28-08-2003, n. 12634).
Ebbene alla luce di quanto accennato, il licenziamento intimato al lavoratore edile è stato dichiarato illegittimo e accolto il ricorso introduttivo.

La redazione giuridica

 
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