L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è intervenuta, con provvedimento nr. 26.255 del 30.11.16, per sanzionare alcune clausole inserite da un assicuratore nelle proprie polizze. In particolare, le clausole in questione prevedevano – nella fattispecie in esame –  l’impegno, in capo al consumatore, di “non affidare la gestione del danno a soggetti terzi che operino professionalmente nel campo del patrocinio (ad es. avvocati/procuratori legali e simili)”.
Lo stesso modulo predisposto dalla compagnia contemplava l’onere, assunto dal cliente, di ricorrere in via preliminare alla procedura di conciliazione paritetica quando l’ammontare del danno patito non superasse i 15.000,00 euro.  A fronte di tali pesi, il cliente ‘godeva’ di uno sconto – invero non monumentale, per usare un eufemismo – pari al 35% sul premio netto annuo previsto. Ma c’era di più e di peggio: il sottoscrittore, laddove avesse violato l’impegno sottoscritto, avrebbe patito l’applicazione di una penale di euro 500,00 scalabile dalla somma dovuta dall’assicuratore a titolo di risarcimento in caso di evento avverso.
Ebbene, con una delibera inappuntabile sotto il profilo del common sense e dell’equità – prima ancora che di elementari giustificazioni giuridiche – l’Autorità garante ha statuito che le surrichiamate clausole debbono intendersi a tutti gli effetti vessatorie ai sensi dell’art. 33 comma 2, lettere f) e t) e 34 comma 2 del Codice del Consumo.
Scendiamo nel dettaglio. La delibera in commento, innanzitutto, censura a chiare lettere la predisposizione di una penale “manifestamente eccessiva” rispetto alla corrispondente scontistica elargita dalla compagnia sul premio della polizza. Addirittura, il Garante ha calcolato l’esatto importo della sforbiciata ‘munificamente’ concessa dall’impresa: parliamo di una cifra oscillante tra gli 11 e i 16 euro.
Ora, è arduo non cogliere – in tale spropositato sbilanciamento tra vantaggi inconsistenti e rigidissime penali – una metafora dell’attuale stato dei rapporti tra i privati cittadini e i colossi del business assicurativo. Nel provvedimento si legge che persino la compagnia coinvolta, in sede di procedimento, ha ammesso che quei 500 euro non sono scaturiti da calcoli statistico-attuariali né da studi di “correlazione con la quantificazione dello sconto sul premio assicurativo”.  Quella ‘multa’ è concepita con un unico scopo: dissuadere dall’avvalersi del contributo di un professionista specializzato nella trattativa susseguente a un sinistro.
Non solo: l’abnorme penale costituisce, per il Garante, una “inaccettabile” restrizione alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi. Essa confligge, altresì, anche con l’art. 33 comma 2 lettera t del Codice del Consumo, norma che presume la vessatorietà, fino a prova contraria, di qualsivoglia clausola implicante restrizioni sull’autonoma e indisponibile libertà del consumer di contrattare con chicchessia e di farsi, eventualmente, assistere da chi di dovere nella tutela delle proprie ragioni.
Poniamo l’accento – a scanso di equivoci e a futura memoria – sulle seguenti inequivocabili parole dell’Autorità Garante: “Come chiarito dalla Corte di Cassazione, il diritto del danneggiato a tutelare i propri interessi affidandosi alla competenza di un legale o di uno studio tecnico deve essere riconosciuto anche nella fase prodromica al giudizio, assistenza che è espressamente ritenuta dalla Cassazione “necessitata e giustificata in funzione dell’attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento”.
Un altro aspetto estremamente significativo della delibera de quo è che essa respinge al mittente le clausole analizzate non solo per la loro iniqua vessatorietà, ma anche per l’oggettiva difficoltà del destinatario “di comprendere la portata degli impegni assunti”. Tale ultimo rilievo è interessante perché fotografa un vizio diffuso e condiviso non solo dall’articolato di varie polizze e di diversi contratti sottoposti all’approvazione e alla firma di cittadini spesso ignari, ma anche dalla tecnica legislativa riscontrabile in una pletora di leggi, decreti legge, decreti legislativi e regolamenti di attuazione, tutti contrassegnati dal medesimo tasso di nebulosità e di difficoltà di decifrazione.
Forse ciò è frutto di una generalizzata e deplorevole perdita di dimestichezza, negli estensori di codici e contratti, con il buon italiano di un tempo. O forse è l’esito – propiziato da noti (e forti) poteri e da un legislatore lusingato dall’assecondarne le voglie – di un calcolato e malizioso intento: quello di intorbidare le acque per impedire ai pesci di comprendere nell’alveo di quale fiume, e verso quali approdi, essi stanno nuotando.

Avv. Francesco Carraro

(Foro di Padova)

SCARICA QUI IL PROVVEDIMENTO N. 26255/2016 DELL’AGCM

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