Il deturpamento e imbrattamento di cose altrui, a norma del’articolo 639 del codice penale prevede in generale pene severe, che arrivano alla reclusione per un anno se il fatto è commesso su cose di interesse storico e artistico

Il ‘deturpamento e imbrattamento di cose altrui’ è un reato previsto dall’articolo 639 del codice penale. Al riguardo la Corte di Cassazione, con sentenza n. 16371 del 2016 ha fornito alcune importanti precisazioni, pronunciandosi in merito al caso di un ‘writer’ che aveva per l’appunto imbrattato con una scritta un muro posto sulla strada pubblica, utilizzando una bomboletta spray.

In primo grado l’imputato era stato assolto poiché il Tribunale affermava che “la parete in questione era già stata completamente imbrattata e deturpata da ignoti” e che anzi il soggetto avesse agito “con l’intento di abbellire la facciata e di effettuare un intervento riparatore, realizzando un’opera di oggettivo valore artistico”. I giudici pertanto ritenevano il reato non sussistente, affermando che l’iniziativa dell’imputato non costituisse “imbrattamento del muro, bensì l’esecuzione di un’iniziativa di valore artistico”.

La sentenza era stata impugnata dal Pubblico Ministero, ma anche in secondo grado l’imputato veniva riconosciuto non punibile, pur con motivazioni parzialmente diverse. La Corte d’Appello, infatti, riconosceva “il fatto, ancorchè astrattamente, configurabile come reato”, ma al contempo, ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale, non lo riteneva “punibile per la sua particolare tenuità, derivante dalla circostanza che il muro in questione era già stato deturpato da ignoti” e quindi l’intervento del ‘writer’ non determinava, a ben vedere, alcun danno.

Da ultimo il ricorso per Cassazione effettuato dal procuratore generale, secondo cui “non vi sarebbe alcuna prova dell’esiguità del danno, tale non potendosi considerare quello che – a detta della stessa corte d’appello – potrebbe essere rimosso solo con l’intervento di un imbianchino”. Il ricorrente sottolineava le carenze delle motivazioni della sentenza di secondo grado, in particolare riguardo ai costi necessari all’esecuzione dell’intervento di ripristino e alle modalità della condotta, nonché alle problematiche relative all’opera di pulitura accentuate dal fatto che i graffiti precedenti erano stati coperti con un disegno di ancora più ampie dimensioni. Inoltre l’attività doveva “intendersi come compiuta anche a scopo pubblicitario e quindi di lucro” in quanto la firma lasciata “dall’artista” corrispondeva alla “denominazione del suo sito Internet”.

Tali argomentazioni, tuttavia, non sono state accolte e la Suprema Corte ha respinto il ricorso dichiarandolo inammissibile. Per gli Ermellini, infatti, “il giudizio di particolare tenuità dell’offesa, ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., deve essere effettuato prendendo in considerazione le modalità della condotta, l’esiguità del danno e la non abitualità del comportamento”, trattandosi, quindi, di una valutazione di merito, insindacabile in sede di giudizio di Cassazione se sorretto da idonea motivazione. Dal momento che la Corte d’appello, in questo caso specifico, aveva adeguatamente motivato la propria decisione, anche in ordine al giudizio di “particolare tenuità del fatto”, la decisione non poteva essere sindacata nel terzo grado di giudizio.

Il caso in questione va comunque circoscritto a una specifica fattispecie; la normativa generale prevede infatti per chi deturpa o imbratta cose mobili, se querelato dalla parte offesa, una multa fino a 103 euro, mentre se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica, con procedura d’ufficio, la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. La pena si inasprisce ancor di più se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico; in tal caso il periodo di reclusione previsto va dai tre mesi a un anno e la multa dai 1.000 a 3.000 euro.

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