La Corte di Appello di Napoli, con sentenza dell’11 ottobre 2023, in integrale riforma della decisione di primo grado del Tribunale di Nola, ha assolto tutti gli imputati perché “il fatto non sussiste” perché l’infortunio è stato causato dalla condotta imprudente del lavoratore. La Cassazione conferma (Cassazione penale, sez. IV, dep. 03/06/2024, n.22039).
Il caso
La vittima, che avrebbe dovuto attraversare il piazzale per uscire dallo stabilimento terminato il turno, trovava la via di esodo intralciata e non percorribile a causa della presenza di materiali scaricati, percorreva il cortile e veniva colpito alle braccia dal “polipo” in acciaio posto all’estremità della macchina in quel momento manovrata da un dipendente dell’appaltatrice, il quale, dando le spalle al capannone e alla zona dove si trovava il lavoratore, dunque impossibilitalo a vederlo, stava spostando materiali depositati nel lato sinistro. In tal modo, a causa della spinta del “polipo”, il lavoratore cadeva con violenza a terra procurandosi un trauma cranico commotivo con ferita lacero contusa alla regione occipitale.
Il datore di lavoro è stato condannato in primo grado per omissione di predisposizione delle uscite di sicurezza e per non avere previsto appositamente nel DVR i rischi afferenti al piazzale antistante il capannone durante il funzionamento delle macchine operatrici predisponendo le opportune misure.
L’appaltatrice è stata condannata per avere omesso di formare adeguatamente i propri lavoratori, tra cui il conducente del “polipo”, addetti alla manovra dei mezzi meccanici nell’area aziendale del datore di lavoro che veniva attraversata dai lavoratori nel momento di ingresso e di uscita dallo stabilimento per raggiungere e lasciare gli spogliatoi.
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza dell’11 ottobre 2023, in integrale riforma della decisione di primo grado del Tribunale di Nola, ha assolto tutti gli imputati perché “il fatto non sussiste”
Il ricorso in Cassazione
Il lavoratore infortunato si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando l’assoluzione del datore di lavoro e del proprietario del macchinario.
La Corte d’Appello avrebbe compiuto una sfasatura tra la contestazione e i fatti oggetto della decisione. In particolare, vi sarebbe una discrasia “tra l’addebito mosso nell’imputazione (non aver rispettato la prescrizione asseritamente contenuta nel documento, ovvero predisporre sempre e comunque la presenza dell’uomo a terra in caso di movimentazione di macchinari come quello in esame), e l’effettivo contenuto del DVR che imponeva la presenza necessaria di un operatore a terra esclusivamente nell’evenienza in cui lo stesso si muovesse in spazi ristretti e con visibilità insufficiente.
L’infortunio sarebbe avvenuto in circostanze tali che, alla stregua del DVR vigente in quel momento e a differenza di quanto sostenuto nel capo di imputazione, non imponevano la presenza necessaria dell’uomo a terra. L’appaltatore, invece, è stato condannato per non aver previsto sempre nel DVR la presenza necessaria dell'”uomo a terra”; vale a dire, “per un addebito di colpa specifica del tutto diverso da quello previsto nell’imputazione.
La “sfasatura” lamentata dal ricorrente non avrebbe determinato trasfigurazione alcuna dell’addebito originario, il cui nucleo essenziale – sempre secondo il ricorrente – è chiaramente coincidente con il fatto ritenuto in sentenza. Difatti, la doverosa presenza dell’uomo a terra al momento del sinistro, la dimostrata sua assenza in detto frangente e la sussistenza del nesso causale tra l’omessa adozione di tale presidio e l’evento lesivo patito dalla parte civile, rappresentano elementi essenziali e qualificanti, non solo della contestazione, ma, altresì, del fatto oggetto di condanna.
La mancanza di nesso causale
Viceversa, non altrettanto sarebbe a dirsi con riferimento all’inciso (errato) “così come previsto nel documento di valutazione dei rischi del 19 maggio 2014”, il quale, lungi dall’individuare un momento sostanziale e caratterizzante del contegno addebitato, aveva funzione meramente specificativa della fonte di derivazione della doverosità della cautela omessa.
In tema di incidenti sul lavoro, qualora l’evento, del quale l’imprenditore è chiamato a rispondere a titolo di colpa, sia eziologicamente collegato all’omissione di condotte dovute in forza della posizione di garanzia da lui rivestita, non si ha violazione del principio di correlazione fra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, quando sia rimasta inalterata la condotta omissiva, intesa come dato fattuale e storico contenuto nell’imputazione, ma sia stata, bensì, dal Giudice mutata solo la fonte (normativa, regolamentare o pattizia) in base alla quale l’imprenditore era tenuto a porre in essere la condotta doverosa omessa.
L’allontanamento della persona offesa dalla via di esodo avveniva per la presenza di “fili di ferro”, “ferro”, “pezzi di legno” e “bottiglie” che rendevano pericoloso camminare. La comprovata presenza di tali rifiuti, pur non rendendo impraticabile il percorso de quo, esponevano al rischio di inciampo, caduta e/o lesioni, e dunque la decisione di allontanarsene, per quanto imputabile ad una scelta della persona offesa, non sarebbe immotivata, bensì conseguenza di una situazione non rispettosa delle disposizioni in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro.
La condotta imprudente del lavoratore
Detto in altri termini, la condotta imprudente del lavoratore avrebbe rinvenuto la propria ragione in un contegno altrettanto colposo della parte datoriale, la quale, nello stabilire quel camminamento, ometteva di valutarne i conseguenti rischi.
Nel caso di specie l’esame delle circostanze concrete del fatto ha impedito di ritenere che – alla stregua delle prescrizioni imposte – dovesse essere necessariamente presente in quel momento un “uomo a terra” che guidasse la manovra del mezzo. Invero, l’incidente non è avvenuto mentre il macchinario svolgeva manovre in uno “spazio ristretto”, ma anzi mentre si muoveva all’interno di un piazzale vasto oltre 20.000 metri quadri complessivamente, e non è dimostrato che le condizioni di visibilità fossero “insufficienti” sia a causa dell’illuminazione presente sul posto che in ragione dell’orario e del periodo dell’anno in cui avvenne l’incidente, essendo evidente che nel mese di settembre, intorno alle ore 19.00, vi è ancora una luce naturale adeguata per scorgere la presenza di una persona che si muove a piedi su di una superficie priva di ostacoli di rilievo tale occludere la visuale.
Sfasatura tra la contestazione e i fatti oggetto della decisione
In buona sostanza si è verificata quella “trasformazione radicale”, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, così da pervenirsi ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui è scaturito un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
È corretto, dunque, il ragionamento della Corte territoriale quando afferma che: “Nel caso di specie la contestazione non è a titolo di colpa generica, né concerne una condotta globalmente ascritta come colposa, bensì due specifiche condotte di cui una è stata esclusa già in primo grado e l’altra appare documentalmente smentita dal DVR in atti, con la conseguenza che il primo giudice ha condannato per un addebito specifico diverso da quello contestato”.
Pertanto è coerente la conclusione in ordine alla sussistenza, a giudizio dei Giudici del gravame di “un’evidente sfasatura tra la contestazione e i fatti oggetto della decisione”.
Il ricorso viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno