La ricerca ha riscontrato, nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica, la ridotta presenza di una molecola lipidica in grado di fermare lo stato infiammatorio persistente del cuore

I ricercatori dell’Università Campus Bio-Medico di Roma hanno scoperto e dimostrato, per la prima volta, il ruolo decisivo di una molecola lipidica, la resolvina D1, nell’insorgenza della insufficienza cardiaca cronica.

Si tratta di una patologia grave che si manifesta con l’impossibilità del cuore di pompare adeguatamente il sangue. La malattia, che in Italia rappresenta la seconda causa di ricovero dopo il parto, colpisce il 10% della popolazione over 75, nonché l’1,2% dei soggetti tra 18 e 40 anni. Essa si manifesta, in un quarto dei pazienti, con infarto entro quattro anni dall’evento.

Le ricadute sociali per chi ne soffre sono enormi: difficoltà a compiere sforzi fisici, gonfiori agli arti inferiori, ma anche capogiri o costipazione. La malattia si scopre con l’elettrocardiogramma e la visita cardiologica, ma viene certificata dall’eco-cuore, che quantifica la (ridotta) capacità di contrazione del muscolo cardiaco. A quel punto, il rischio di episodi di scompenso è sempre dietro l’angolo, fino alla necessità urgente di un trapianto.

Gli scienziati sono stati in grado di evidenziare la ridotta presenza della resolvina D1 nel sangue dei malati.

“Un difetto – sottolinea il professor Mauro Maccarrone, Ordinario di Biochimica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di UCBM e principal investigator della ricerca – che è originato da una ridotta capacità da parte delle cellule immunitarie dell’organismo di sintetizzare questo particolare lipide, tanto che meno è presente e più grave è la condizione patologica del soggetto”.

Lo studio è stato condotto in collaborazione con l’Unità Operativa Complessa di Geriatria del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico diretta dal professor Raffaele Antonelli Incalzi. Il lavoro, pubblicato sulla rivista scientifica FASEB Journal, ha visto come prima firma l’esperto internazionale di resolvine Valerio Chiurchiù, co-responsabile della ricerca.

Gli esperti hanno altresì dimostrato che il ripristino della resolvina non è comunque sufficiente a controllare le risposte infiammatorie che si originano nel muscolo cardiaco. Questo perché i ridotti livelli della molecola sono accompagnati, nella insufficienza cardiaca cronica, da una ridotta espressione del recettore responsabile di mediarne gli effetti biologici.

Lo studio ha quindi svelato la presenza di un difetto nel processo di risoluzione dell’infiammazione, che genera o si associa all’insufficienza cardiaca cronica. Controllando meglio le molecole in grado di ‘curare’ questa flogosi, dunque, si potrebbero aprire nuovi possibili scenari di cura. “Tutto ciò – conferma Maccarrone – suggerisce che le resolvine potrebbero rappresentare un nuovo bio-marcatore plasmatico per questa patologia del cuore. Non solo: potrebbero diventare anche un potenziale bersaglio terapeutico per sviluppare, nel prossimo futuro, farmaci più efficaci rispetto a quelli oggi disponibili”.

 

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