Ove l’intervento chirurgico, necessario e correttamente eseguito, non sia stato preceduto dalla corretta acquisizione del consenso informato, può essere riconosciuto al paziente anche il risarcimento del danno alla salute, ove provi, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento

L’intervento ben eseguito … ma senza consenso informato

La Corte d’Appello di Roma aveva condannato un medico e l’Ospedale, entrambi convenuti in giudizio, a risarcire in solido i danni subiti dai ricorrenti a seguito di un intervento chirurgico eseguito sulla persona della propria figlia minore.

Con la stessa sentenza, la Corte territoriale aveva evidenziato come, nonostante l’intervento eseguito dal medico convenuto fosse stato condotto nel pieno rispetto delle legis artis, senza possibilità di riscontro di alcuna responsabilità medica, detto intervento era stato eseguito senza aver in precedenza correttamente acquisito il consenso informato della paziente, non avendo quest’ultima ricevuto tutte le necessarie informazioni in ordine alla natura dell’intervento praticato, alle complicanze prevedibili e non prevedibili e alle alternative terapeutiche concretamente praticabili.

Conseguentemente, per effetto di tale inadempimento, i convenuti dovevano ritenersi responsabili dei corrispondenti danni subiti, tanto dai due coniugi, quanto dalla loro figlia.

Ma la sentenza è stata cassata in sede di legittimità.

La Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, ordinanza n. 11095/2020) ha, infatti, rilevato come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, in materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento all’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale, a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute, posto che, se nel primo caso l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall’opposizione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato, ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso; con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale eventuale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova (che, in applicazione del criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., grava sul danneggiato) del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso.

Con particolare riguardo alla determinazione dell’importo liquidabile a titolo risarcitorio per l’inadempimento all’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente, fermo il riconoscimento del danno dovuto alla lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica (necessariamente liquidabile in via equitativa), ove l’atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto (anche) il risarcimento del danno alla salute, per la verificazione di tali conseguenze, ma solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento, ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze) (Corte di Cassazione, Sezione Terza, ordinanza n. 2369/2018).

Il giudizio di legittimità

Ebbene, nel caso in esame, i giudici della Suprema Corte hanno osservato come se da una parte la Corte di merito avesse correttamente affermato che alla paziente spettasse unicamente il risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione della libertà di autodeterminazione terapeutica (e ciò, stante l’assenza, di alcuna adeguata dimostrazione da parte della stessa, dell’eventuale sicuro dissenso all’intervento, in caso di corretta informazione preventiva), dall’altra parte aveva poi, errato laddove, dopo aver applicato la riduzione del 20% del danno biologico, giustificata dalla necessità di tener conto delle patologie pregresse della minore, nonché la riduzione al 20% del danno patrimoniale (sempre allo scopo di tener conto delle patologie pregresse della paziente), aveva omesso di praticare l’ulteriore programmata riduzione al 20% quale abbattimento già ritenuto necessario al fine di valorizzare la differenza tra il danno alla salute (considerato non risarcibile) e il danno al diritto all’autodeterminazione terapeutica (viceversa ritenuto risarcibile), finendo così per assorbire il secondo abbattimento del 20% (motivato dalla necessità di tener conto delle preesistenti patologie della paziente). Con la conseguenza che l’importo definitivo liquidabile a titolo di risarcimento del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica era risultato coincidente (almeno parzialmente) con l’importo totale astrattamente dovuto a titolo di danno biologico e a titolo di danno patrimoniale, ossia con l’importo che sarebbe spettato alla danneggiata a titolo di lesione del diritto alla salute.

La sentenza impugnata è stata, perciò, cassata con rinvio per una corretta rideterminazione del danno effettivamente derivato alla paziente, a seguito della lesione del proprio diritto ad autodeterminarsi liberamente nelle scelte relative al proprio corpo.

Avv. Sabrina Caporale

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