Ai fini dell’autonomo risarcimento del danno da omissione del consenso informato, rileva la sola condotta omissiva dell’obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento sanitario, non già in ordine ai danni che non rientrino nei normali rischi dell’intervento

L’azione per il risarcimento danni

L’attrice aveva convenuto in giudizio il proprio dentista, lamentando il suo inadempimento alle obbligazioni contrattuali relative alla esecuzione di alcune cure odontoiatriche sull’apparato masticatorio della stessa; ed aveva chiesto l’accertamento della responsabilità professionale del convenuto, la conseguente risoluzione del contratto stipulato tra le parti e la condanna del professionista al risarcimento dei danni.

Nel merito, i consulenti tecnici d’ufficio avevano accertato che “i trattamenti odontostomatologici a cui era stata sottoposta la perizianda ad opera del convenuto e che avevano interessato gli elementi dentari dell’arcata inferiore 36, 35, 34, 43, non erano stati eseguiti a regola d’arte”; che “in particolare, l’impianto a vite osteointegrato posizionato in zona 36, risultava apposto con eccessiva profondità rispetto alla dimensione ossea verticale mandibolare disponibile, tanto che il suo apice aveva perforato il tetto del sottostante canale mandibolare, provocando la comparsa del successivo disturbo di carattere neurologico. Anche per quanto riguarda la fase protesica era del tutto evidente che il sovradimensionamento del perno moncone a carico di 35 fosse stata la causa della successiva frattura dell’elemento dentario, come bene identificabile radiograficamente”; “la devitalizzazione dell’elemento dentario 43, non era stata, poi, correttamente realizzata, presumibilmente per mancanza di corretto sigillo apicale, tanto che l’elemento dentario era stato successivamente sottoposto ad apicectomia da parte di altro professionista”; anche “il trattamento canalare di 34 non era certamente da considerarsi congruo, in quanto l’elemento dentario presentava incompleta chiusura endodontica ed aveva necessitato, anche in questo caso, il ritrattamento da parte di altro professionista”.

I consulenti tecnici avevano, quindi, quantificato l’inabilità temporanea, derivata dal fatto colposo accertato, in misura pari a giorni diciotto di inabilità temporanea assoluta; giorni quattordici di inabilità temporanea parziale al 50%; giorni trecento di inabilità temporanea parziale al 10%.

Sempre secondo i CTU “i postumi permanenti, sulla base delle tabelle a cui fa riferimento l’art. 139 del Codice delle Assicurazioni e dei baréme più comunemente usati nell’ambito della valutazione medico-legale del danno biologico, erano quantificabili nella misura del 6-7%”.

Alla luce di tali evidenze il Tribunale di Parma (sentenza n. 180/2020) ha accolto al domanda attorea, riconoscendo il totale inadempimento colposo del convenuto ex art. 1218 c.c. e il conseguente diritto di parte attrice ad ottenere la risoluzione del contratto e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni causati dal suddetto inadempimento, ai sensi dell’art. 1453 c.c.

Ai fini della determinazione del quantum debeatur, come disposto dapprima dall’art. 3, comma 3 del D.L. n. 158/2012, conv. in L. n. 189/2012 (legge Balduzzi) ed ora dall’art. 7, comma 4 della L. n. 24/2017 (legge Bianchi – Gelli) e secondo il condivisibile orientamento della più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 28990/2019), è stata fatta applicazione delle tabelle ministeriali di cui agli art. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, previste per le invalidità c.d. micro permanenti, relative all’anno 2019-2020. In particolare, tenuto conto dell’età che la parte attrice aveva all’epoca del sinistro (anni 44) e dei punti percentuale (pari a 6,5) da attribuirsi in concreto, è stato ritenuto equo quantificare l’importo base dovuto nella somma euro 10.323,52, per invalidità permanente, e nella somma attualizzata di euro 3.656,40 per inabilità temporanea. 

La decisione

Il giudice di primo grado non ha invece riconosciuto nulla all’attrice, a titolo di risarcimento per omissione del consenso informato, quale ulteriore e distinta voce risarcitoria, in quanto si ritiene che, ai fini dell’autonoma risarcibilità, rilevi solo la condotta omissiva dell’obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto, mentre, nel caso di specie, i danni subiti dalla paziente non rientravano nei normali rischi dell’intervento, ma erano conseguenza di un inadempimento contrattuale, produttivo, già di per sé, di effetti risarcitori.

L’effetto retroattivo della risoluzione per inadempimento contrattuale ex art. 1458, 1° comma, c.c. ha comportato anche, ai sensi dell’art. 2033 c.c., il diritto di parte attrice ad ottenere la restituzione del corrispettivo pacificamente versato al professionista, pari a 2.500,00 euro, oltre interessi.

Avv. Sabrina Caporale

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