Accolto il ricorso di un uomo, vittima di un investimento, al quale i Giudici del merito avevano negato la voce di danno relativa alla lesione della capacità lavorativa

La Suprema Corte, con la sentenza n. 32649/2021, si è pronunciata sul ricorso di un uomo che si era visto diminuire dalla Corte di appello la somma liquidata dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento del danno biologico -temporaneo e permanente- subito in conseguenza dell’investimento sulle strisce pedonali da parte di un’autovettura, con conseguente condanna alla restituzione alla compagnia assicuratrice delle somme già versate in eccedenza, con interessi compensativi e legali. Nel ricorrere per Cassazione, il danneggiato lamentava che il Collegio distrettuale avesse erroneamente affermato che egli non aveva fornito alcuna prova in ordine all'”attività lavorativa svolta all’epoca del sinistro”, ritenendo non dovuto alcun risarcimento da lesione della propria capacità lavorativa specifica, viceversa dedotta e dimostrata, tenuto d’altro canto in considerazione che anche il disoccupato ha diritto al risarcimento di tale voce di danno. Si doleva, inoltre, che la corte di merito avesse erroneamente affermato che, non provata l’incapacità specifica, non aveva diritto nemmeno al risarcimento del danno futuro da incapacità lavorativa generica.

I Giudici Ermellini hanno effettivamente ritenuto di aderire alle doglianze proposte, accogliendo il ricorso in quanto fondato.

Risponde ad orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, infatti, che all’interno del risarcimento del danno alla persona il danno da riduzione della capacità lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia (in quanto lesione di un’attitudine o di un modo d’essere del soggetto in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico. Il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica è viceversa generalmente ricondotto nell’ambito non già del danno biologico bensì del danno patrimoniale, precisandosi peraltro al riguardo che l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso.

Recentemente, la Cassazione ha prospettato che allorquando trattisi di postumi di lieve entità, o comunque manchino elementi concreti dai quali desumere una incidenza della lesione sulla attività di lavoro attuale o futura del soggetto leso, vanno escluse l’esistenza e la risarcibilità di qualsiasi danno da riduzione della capacità lavorativa, mentre va privilegiato un meccanismo di liquidazione (quello del danno alla salute) idoneo a cogliere, nella sua totalità, il pregiudizio subito dal soggetto nella sua integrità psico-fisica. Si è al riguardo sottolineato, peraltro, come la circostanza che i postumi permanenti di lieve entità, non essendo idonei ad incidere sulla capacità di guadagno, non pregiudichino la capacità lavorativa e rientrino nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona, non significa che il danno biologico “assorba” anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell’attitudine a produrre guadagni attraverso l’impiego di attività lavorativa.

Gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono pertanto consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito.

A tale stregua vanno al danneggiato risarciti non solo i danni patrimoniali subiti in ragione della derivata incapacità di continuare ad esercitare l’attività lavorativa prestata all’epoca del verificarsi del medesimo (danni da incapacità lavorativa specifica) ma anche i danni gli eventuali danni patrimoniali ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità, affettante il danneggiato non consenta al medesimo la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito. In tale ipotesi l’invalidità subita dal danneggiato in conseguenza del danno evento lesivo si riflette infatti comunque in una riduzione o perdita della sua capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante. Va pertanto escluso che il danno da incapacità lavorativa generica non attenga mai alla produzione del reddito e si sostanzi sempre e comunque in una menomazione dell’integrità psicofisica risarcibile quale danno biologico, costituendo una lesione di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto.

La lesione della capacità lavorativa generica, consistente nella idoneità a svolgere un lavoro anche diverso dal proprio ma confacente alle proprie attitudini, può invero costituire anche un danno patrimoniale, non ricompreso nel danno biologico, la cui sussistenza va accertata caso per caso dal giudice di merito, il quale non può escluderlo per il solo fatto che le lesioni patite dalla vittima abbiano inciso o meno sulla sua capacità lavorativa specifica. Il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette infatti automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza. A tale stregua, nel caso in cui la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica già eserciti un’attività lavorativa e il grado d’invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (c.d. “micropermanenti”), un danno da lucro cessante derivante dalla riduzione della capacità lavorativa in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale.

Si è altresì precisato che l’invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c..

La Suprema Corte ha ulteriormente precisato che un danno patrimoniale risarcibile può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza un’occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto tale condizione può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all’invalidità permanente che proiettandosi appunto per il futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima al momento in cui questa inizierà a svolgere un’attività remunerata, in ragione della riduzione della capacità lavorativa conseguente alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita, da liquidarsi in via equitativa, tenuto conto dell’età della vittima stessa, del suo ambiente sociale e della sua vita di relazione.

Tale danno spetta a soggetto già percettore di reddito da lavoro, ma anche a chi non lo sia mai stato o non sia ancora in età non lavorativa, ovvero versi in concreto in una condizione lavorativa caratterizzata da carattere saltuario o al momento del sinistro sia disoccupato e perciò senza reddito, potendo in tal caso escludersi il danno da invalidità temporanea ma non anche il danno collegato all’invalidità permanente che proiettandosi nel futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima. Mentre la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima, in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto o non ancora goduto dalla vittima può applicarsi il criterio del triplo della pensione sociale, oggi assegno sociale.

Nel caso in esame, i principi esposti erano rimasti disattesi dal Giudice di merito. Da lì, la cassazione, con rinvio, della sentenza impugnata.

La redazione giuridica

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