Un interessante caso di «malpractice» medica consistita nella negligente compilazione della cartella clinica che non permette di risalire alla causa di morte per la presenza di un “vuoto” documentale di circa due giorni. La classica difesa dei sanitari che diventa un boomerang giuridico.

Pubblico volentieri questo caso (che come al solito seguo personalmente) per due buoni motivi: il primo perché ho conosciuto un collega medico legale (della convenuta struttura) che fa dell’intelligenza e dell’onestà intellettuale la sua forza; il secondo perché tale caso ruota essenzialmente su due concetti che rappresentano i baluardi che reggono la responsabilità sanitaria, l’onere della prova e il nesso causale.

Due concetti che purtroppo non “rimpinguano” sempre la cultura dei consulenti tecnici sia di ufficio che di parte (ed è per questo che sono contento di aver conosciuto il collega che difende la struttura). Come potete leggere dalla relazione in allegato, stilata dal sottoscritto con la collaborazione di un ottimo internista, si tratta della morte di un pover’uomo di 60 anni che malgrado l’età non godeva di un’ottima salute. Accidentalmente si fratturava il femore sx così da venir operato e trasferito in clinica riabilitativa dove dopo una quarantina di giorni decedeva. Non veniva eseguito riscontro diagnostico.

Da un punto di vista medico legale la morte del paziente è certamente legata al percorso diagnostico e terapeutico che ha “subito” durante il ricovero (quindi il nesso di causa è dimostrato), quindi adesso dovremmo “vestire” questa causalità ma ciò farlo con certezza non è possibile in quanto manca, da un lato, il riscontro diagnostico (necessario e dovuto) che poteva stabilire la causa della morte e quindi risalire se trattasi di morte da edema cerebrale o morte elettrica del cuore per altro motivo.

Il consulente del convenuto ci ricordava come tale ricovero essendo in una struttura riabilitativa non poteva essere equiparato a quello in ospedale in termini di buona evidenziazione della obiettività al di fuori di quella per la quale era stato ricoverato (ortopedica vs neurologica), ma ciò comunque non può essere causa di giustificazione in quanto l’obiettività va fatta sempre completa e soprattutto quando il paziente presenta condizioni peggiorative dello stato di salute (leggere in relazione le dichiarazioni della moglie del defunto che sono congrue con un quadro di iponatriemia non controllata farmacologicamente).

Una negligente tenuta della cartella clinica è presunzione di colpa in quanto tutte le parti in causa possono solo presumere il nesso di causalità secondo un giudizio controfattuale logico e scientificamente valido, ma è la convenuta struttura che ha l’onere della prova di dimostrare (solo con i dati clinici desumibili dalla cartella e non con ipotesi teoriche come spesso si assiste) di essere estranea ad una colpa omissiva o commissiva, e non potendolo provare a motivo della succitata lacunosità documentale, è destinata a soccombere.

Le “presunzioni” attoree si leggono nella relazione allegata e sembra che comunque la via dell’edema cerebrale sia la più percorribile per due motivi:

  • Non esiste obiettività neurologica in tutto il diario clinico, per cui non essendoci anche in data 11 gennaio (giorno) e nei giorni successivi come nei precedenti (appunto) non si può dedurre che sia stato regolare e questo soprattutto per il motivo seguente:
  • Una ipopotassiemia gravemente diminuita non è immaginabile con uno stato clinico neurologico di normalità.

Quindi dove “attaccarsi” per farla franca? Io non lo riesco ad immaginare, dunque spero che arrivi dalla struttura una proposta transattiva per chiudere il capitolo del sig. S.A. e dare una piccola soddisfazione morale ai congiunti.

Dr. Carmelo Galipò

Scarica il pdf con la consulenza:

Consulenza di parte per il caso S.A.-responsabile civile

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