La decadenza ex art. 38, co. 1, lett. d) decorre dal 6 luglio 2011 anche ai giudizi relativi alle domande di riliquidazione di prestazioni già liquidate, ma in misura inferiore al dovuto (Tribunale di Terni, Sez. Lavoro, Sentenza n. 229/2021 del 01/06/2021 RG n. 496/2019)

Il pensionato cita a giudizio l’Inps invocando la riliquidazione della pensione di anzianità con l’inclusione dei periodi di contribuzione figurativa per malattia e infortunio attraverso il computo degli emolumenti extramensili, con conseguente condanna dell’Istituto a procedere alla suddetta riliquidazione nonché a corrispondere le differenze di rateo maturate e a maturarsi a tale titolo nei limiti della prescrizione decennale, dichiarando illegittimo il provvedimento di riliquidazione che ha applicato, tra l’altro, la prescrizione quinquennale e non quella decennale.

Si costituisce in giudizio l’INPS chiedendo il rigetto del ricorso ed eccependo, in via preliminare, l’improponibilità del ricorso, per mancanza della domanda amministrativa, la decadenza dell’azione ai sensi dell’art. 47 comma 3° e 6° del D.P.R. 639/70, e comunque la prescrizione dei singoli ratei, quinquennale o decennale.

L’Istituto previdenziale deduce nel merito l’infondatezza della domanda, evidenziando che il valore retributivo da attribuire ai periodi riconosciuti figurativamente è regolato dall’art. 8 legge 155/81 e che l’ampia nozione di retribuzione imponibile ai fini contributivi, che costituisce la base di calcolo di detta contribuzione figurativa, comprende pacificamente ogni emolumento percepito dal lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro.

Sottolinea, peraltro, che era consentita la valorizzazione di contributi figurativi in luogo dei contributi ordinari ma al solo fine di ottenere un incremento del trattamento pensionistico; e che in ogni caso anche rielaborando i conteggi calcolando in essi anche le contribuzioni comprensive degli emolumenti extramensili, le quote A e B rimanevano invariate.

L’eccezione di decadenza eccepita dall’Inps è fondata e il Tribunale considera il ricorso infondato.

Il ricorrente invoca la riliquidazione di un trattamento pensionistico riconosciuto dall’I.N.P.S., a suo dire, in maniera asseritamente parziale, a causa della intervenuta valorizzazione di tutti i contributi versati anziché di una parte di quelli figurativi, più favorevoli, avendo l’Istituto escluso dalla base di calcolo della predetta retribuzione media settimanale figurativa tutti gli emolumenti ultramensili.

La decadenza triennale di cui l’INPS eccepisce la maturazione, è stata introdotta dall’art. 38, co. 1, lett. d), d.l. n. 98/2011 (conv. in l. n. 111/2011), entrato in vigore il 6.7.2011.

Il ricorso in sede giudiziale (del 25 luglio 2019) attiene alla domanda amministrativa di riliquidazione presentata (in data 19 febbraio 2019) dopo l’entrata in vigore (in data 6.7.2011) della norma introduttiva della nuova decadenza, e riguarda una previdenza liquidata (con decorrenza dal 1.1.2010).

La portata della novella dell’art. 38, co. 1, lett. d) , esclude, in primo luogo, che la decadenza sia maturata alla data della sua entrata in vigore, o comunque alla scadenza del termine di tre anni dalla originaria liquidazione della prestazione, dovendo senz’altro respingersi l’ipotesi di una applicazione retroattiva della nuova disciplina e, dunque, di un decorso – totale o parziale – del termine triennale in epoca anteriore al 6 luglio 2011.

Ebbene, le domande di riliquidazione di prestazioni riconosciute in misura parziale, prima dell’entrata in vigore dell’art. 38, co. 1, lett. d), d.l. n. 98/2011, non potevano certamente essere soggette ad alcuna decadenza ai sensi dell’art. 47, co. 3 e 6, d.P.R. n. 639/70, in quanto rientranti nel regime di esclusione delineato dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 6491/1996, Cass. SS.UU. n. 12720/2 009, Cass. SS.UU. n. 12718/2009, Cass. n. 12516/2004).

Tale giurisprudenza ha azionato un orientamento consolidato secondo il quale “la decadenza di cui all’art. 47 del d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639 – come interpretato dall’art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, nella legge 1° giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento della prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale (sentenza n. 12720 del 29/05/2009); essendosi ivi ribadita “l’illogicità ed irrazionalità in materia previdenziale ed assistenziale della previsione di doppia decadenza che si presenterebbe come un doppio sbarramento previsto al solo scopo di rendere più difficoltoso l’esercizio del diritto” .

Tale indirizzo è applicabile alle prestazioni liquidate prima del 6 luglio 2011, data di entrata in vigore del d.l. n. 98/2011.

Ed ancora, la decisione n. 69/2014, della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della nuova disciplina della decadenza introdotta nel 2011 per le liquidazioni parziali nella sua (limitata) portata retroattiva, in relazione ai “giudizi in corso in primo grado”.

Pertanto, nel caso in esame, trattandosi di domanda di riliquidazione di prestazione pensionistica già riconosciuta, ma in misura inferiore rispetto a quella dovuta, liquidata prima del 6 luglio 2011, non può trovare applicazione retroattiva la nuova decadenza introdotta dall’art. 47, d.P.R. n. 639/1970, come modificato dall’art. 38, co. 1, lett. d), d.l. n. 98/2011 cit. (cfr. Cass. n. 21319/2016).

Con la conseguenza che la decadenza non può ritenersi maturata al 6 luglio 2011, o comunque alla diversa data di scadenza del termine triennale decorrente dalla data di originaria liquidazione della pensione.

L’Istituto, eccepisce in via subordinata che la domanda giudiziale avrebbe dovuto essere presentata a pena di decadenza entro il termine di tre anni dalla data del 6 luglio 2011.

Al riguardo la Suprema Corte ha precisato “le sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. s.u. n. 15352 del 2015), nel risolvere un contrasto manifestatosi all’interno della sezione lavoro, con riguardo ad un analogo problema di diritto transitorio attinente alla determinazione dell’incidenza di una legge sopravvenuta che introduce ex novo un termine di decadenza su una situazione ancora pendente, hanno rammentato che la previsione di un termine di decadenza da parte del legis latore non può certamente avere effetto retroattivo e cioè non può far considerare maturato, in tutto o in parte, un termine con decorrenza iniziata prima dell’entrata in vigore della legge (in termini anche Cass. n. 13335 del 2014) … Nell’escludere che l’introduzione di un termine di decadenza possa avere effetti retroattivi hanno però evidenziato che il carattere pubblicistico del termine di decadenza, fissato dalla legge per garantire una sollecita definizione di controversie di notevole impatto sociale, pone un problema di bilanciamento di due contrapposte esigenze. Da un lato, quella di garantire l’efficacia del fine sollecitatorio perseguito dal legislatore con l’introduzione del termine decadenziale. Dall’altro, quella di tutelare l’interesse del privato, onerato della decadenza, a non vedersi addebitare un comportamento inerte allo stesso non imputabile. Hanno escluso che nel bilanciamento degli opposti interessi si possa configurare un diritto a conservare un termine prescrizionale trattandosi, piuttosto, di un semplice affidamento a fruirne per far valere il proprio diritto. Con riferimento a tale affidamento hanno infatti ritenuto che questo debba “essere tutelato in modo ragionevole ed equilibrato secondo i parametri da tempo precisati dalla Corte costituzionale. Ed infatti secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ma tale copertura non è posta in termini assoluti e inderogabili, con la conseguenza che la posizione giuridica che da luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio ben può essere incisa in senso peggiorativo in presenza di un determinato interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti a incidere anche su posizioni consolidate a condizione che venga rispettato (l’unico) limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti (cfr., da ultimo, C. cost. 10 marzo 2015 n. 56). In applicazione di tali principi la Corte costituzionale ha affermato che l’intervento normativo successivo può incidere non solo su situazioni di mero affidamento, come nel caso di specie, ma anche su diritti soggettivi (C. cost. 18 ottobre 2010 n. 302; C. cost. 16 luglio 2009 n. 236)“.

Le ragioni che hanno determinato la Corte all’applicazione del termine di decadenza introdotto dal legislatore del 1997 con la L. n. 238 solo a decorrere dall’entrata della legge stessa convincono a ritenere che il termine di decadenza introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38, comma 1, lett. d) , n. 1), convertito in L. n. 111 del 2011 , sia applicabile “alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito”, che decorre “dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, trovi applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate ma solo a decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione …”.

Ergo, il nuovo termine decadenziale introdotto dall’art. 38, co. 1, lett. d) cit., deve ritenersi applicabile – ma solo a decorrere dal 6 luglio 2011 – anche ai giudizi relativi alle domande di riliquidazione di prestazioni già liquidate, ma in misura inferiore al dovuto. Con la conseguenza che la decadenza deve ritenersi maturata ogni qualvolta la domanda giudiziale sia stata presentata in data successiva al 6 luglio 2014.

Applicando questi principi al caso in esame, non può che constatarsi l’intervenuta decadenza in quanto la domanda è stata proposta con ricorso del 25 luglio 2019, quando il termine triennale di decadenza – decorrente dal 6 luglio 2011 – era abbondantemente decorso.

Pertanto, fondata l’eccezione di decadenza sollevata dall’INPS, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Trattandosi di questioni interpretative su cui la giurisprudenza ha espresso orientamenti differenti, il Tribunale ritiene di compensare le spese di giudizio.

In conclusione, il tribunale di Terni, dichiara il ricorso inammissibile e compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Avv. Emanuela Foligno

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