In materia di consenso medico informato riguardo all’esecuzione di un intervento operatorio, grava l’obbligo informativo nei confronti del paziente non soltanto sul capo dell’equipe medica, ma anche sull’aiuto-chirurgo

Il principio è contenuto nella recente sentenza n. 26728/2019 della Suprema Corte di Cassazione.

Il caso posto all’attenzione della Corte è stato da essa stessa definito “certamente sui generis”, in quanto il medico che aveva partecipato alla scelta del paziente in fase preintervento aveva preso parte all’equipe medica che aveva eseguito l’operazione.

Si trattava di un intervento di fallo-plastica additiva, a seguito del quale il paziente riportava conseguenze permanenti valutate nella misura del 25% di danno biologico permanente, in considerazione della definitiva “impotentia coeundi”.

Fu allora che il paziente danneggiato decise di rivolgersi ai giudici, al fine di accertarne la responsabilità contrattuale dei sanitari per non aver adempiuto agli obblighi derivanti dall’esercizio della professione medica nei confronti del cliente-paziente, o extracontrattuale, ai sensi dell’art 2043 c.c., per i danni causati per inadempimento o fatto illecito comunque imputabili a negligenza ed imperizia, nonché per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti per la carenza di prestazione di consenso informato in relazione ai rischi dell’intervento in questione.

La vicenda giudiziaria

In primo grado il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria per mancata acquisizione del consenso informato limitandola al capo dell’equipe medica.

La decisione è stata, poi, riformata in appello, nella specie sostenendo che non spettasse solo al primo operatore fornire le adeguate informazioni sull’esito eventuale dell’intervento, dal momento che “non appare sufficiente correlare il dovere di informare sulle conseguenze di un intervento che si consiglia o si raccomanda, a persona diversa da colui che tale intervento oggettivamente effettua e dei cui effetti si presume sia oggettivamente informato”.

Ebbene, tale circostanza è stata confermata anche dai giudici della Suprema Corte di Cassazione. Dagli atti era emerso che fu proprio il medico curante del paziente (nonché aiuto chirurgo durante l’intervento) a consigliare l’operazione.

La decisione

«Sicchè è pacifico –hanno chiarito gli Ermellini -che la prestazione del consenso informato avrebbe dovuto  essere acquisita anche da parte del medico curante che aveva partecipato all’intervento chirurgico».

Ed invero, “in tema di consenso medico informato riguardo all’esecuzione di un intervento operatorio, qualora risulti, come nella specie, che esso è stato eseguito da un sanitario come capo dell’equipe medico – chirurgica, ma che altro sanitario, che abbia partecipato all’operazione in qualità di aiuto- chirurgo, sia stato quello che ha consigliato al paziente l’esecuzione dell’intervento, erroneamente la sentenza di merito, avendo accertato il difetto del consenso informato, riferisce la responsabilità al solo capo dell’equipe medica, ancorchè egli abbia eseguito l’intervento, e non anche all’aiuto-chirurgo, giacchè costui, nell’eseguire la propria prestazione con il consigliare l’intervento, deve reputarsi anch’egli responsabile di non avere assicurato l’informazione dovuta”.

La redazione giuridica

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