L’infortunio ha provocato gravi lesioni al braccio della lavoratrice ed è stata causato dalla mancanza di protezioni e di sistema di arresto della macchina impastatrice (Tribunale di Mantova, Sez. Lavoro, Sentenza n. 72/2021 del 06/05/2021-RG n. 220/2020)

Con ricorso depositato in data 7.4.2020 la lavoratrice cita il proprio datore di lavoro onde vederne accertata la responsabilità per l’infortunio sul lavoro che provocata lesioni gravi al braccio. La lavoratrice deduce di essere stata assegnata alle mansioni di pizzaiola, in particolare di addetta allo svolgimento di tutte le attività preparatorie e alla formazione dell’impasto per pizze, nonché alla preparazione e alla cottura delle stesse. Indica, inoltre, che durante le operazioni di pulizia della macchina impastatrice, il braccio sinistro rimaneva impigliato ed intrappolato negli organi meccanici e trascinato fino alla spalla; il macchinario non risulta dotato di sistema per l’arresto di emergenza né di regolare coperchio.

Trasportata in Ospedale, veniva ricoverata e sottoposta ad un delicato intervento di pulizia chirurgica e di sutura complicata da necrosi cutanea .

A seguito dell’evento l’Inail ha erogato una indennità giornaliera per l’inabilità temporanea assoluta per il periodo dal 17.6.2019 al 24.9.2019 pari ad euro 3.585,97 ed ha riconosciuto un acconto sul danno biologico, pari ad euro 4.880,52, per la menomazione dell’integrità psicofisica.

Il 15.1.2020 la lavoratrice veniva sottoposta a visita medico-legale che accertava un danno biologico permanente del 18%.

La causa viene istruita mediante CTU medico-legale e all’udienza del 21.4.2021 la convenuta offriva banco iudicis la somma di euro 15.000,00 mediante assegno intestato alla ricorrente e all’udienza successiva aumentava la proposta a euro 16.000,00, oltre spese legali secondo tariffa.

Il Tribunale, previa disamina sugli oneri probatori incombenti sulle parti, ribadisce che il datore di lavoro è esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore assuma caratteri di abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al procedimento lavorativo tipico ed alle direttive ricevute, in modo da porsi quale causa esclusiva dell’evento.

Non contestato dalla convenuta che la macchina impastatrice fosse priva del segnale di arresto di emergenza e del coperchio.

Inoltre la convenuta non ha provato di avere fornito alla dipendente una adeguata formazione, né informazione sui rischi specifici presenti sul posto di lavoro e relativi, in particolare, alle mansioni di pulizia della macchina impastatrice a lei assegnate.

Pacifico, quindi, che il datore di lavoro ha violato specifiche norme antinfortunistiche in quanto non ha dotato l’apparecchiatura messa a disposizione della lavoratrice di quei dispositivi atti a proteggere la sua persona da infortuni .

L’art. 70, comma 2, all. V, punto n. 5.2.3, del D. Lgs. 81/2008 prescrive specificatamente che “le macchine impastatrici devono essere munite di coperchio totale o parziale atto ad evitare che il lavoratore possa comunque venire in contatto con gli organi lavoratori in moto. Le protezioni di cui al comma precedente devono essere provviste del dispositivo di blocco previsto al punto 6.3 parte I.3. Quando per ragioni tecnologiche non sia possibile applicare le protezioni ed i dispositivi di cui ai commi precedenti, si devono adottare altre idonee misure per eliminare o ridurre il pericolo”.

Ed ancora, “gli apparecchi di protezione amovibili degli organi lavoratori, delle zone di operazione e degli altri organi pericolosi delle attrezzature di lavoro, quando sia tecnicamente possibile e si tratti di eliminare un rischio grave e specifico, devono essere provvisti di un dispositivo di blocco collegato con gli organi di messa in moto e di movimento della attrezzatura di lavoro tale che: a) impedisca di rimuovere o di aprire il riparo quando l’attrezzatura di lavoro è in moto o provochi l’arresto dell’attrezzatura di lavoro all’atto della rimozione o dell’apertura de l riparo; b) non consenta l’avviamento dell’attrezzatura di lavoro se il riparo non è nella posizione di chiusura”.

Ebbene, la dinamica dell’infortunio occorso alla ricorrente, il cui braccio sinistro è rimasto intrappolato e risucchiato fino alla spalla dagli organi meccanici della macchina impastatrice mentre la stava pulendo, dimostra indiscutibilmente che le misure di sicurezza prescritte non sono state osservate dalla datrice di lavoro.

La convenuta, inoltre, risulta inadempiente dagli obblighi formativi dei propri dipendenti, non avendo fornito alcuna adeguata formazione in merito alla attività di pastificazione con utilizzo e pulizia della macchina impastatrice per ristoranti, attrezzatura che presenta evidenti profili di pericolosità .

Pacifico, pertanto, che la datrice di lavoro debba rispondere delle conseguenze derivate dall’infortunio occorso alla lavoratrice in data 13.6.19.

La CTU medico-legale, ha accertato che a seguito dell’infortunio occorso in data 13/06/2019 la donna ebbe a riportare “un’ampia ferita lacero da scuoiamento del braccio sinistro con esposizione delle strutture anatomiche sottostanti ( osso, nervi e muscoli); che l’ Invalidità Temporanea Biologica, tenuto conto della natura delle lesioni e dei provvedimenti terapeutici posti in atto, può essere contenuta in giorni 2 a Totale, in ulteriori gg. 30 a parziale (al 75%), ulteriori 20 giorni a parziale al 50% ed infine in gg. 40 a minima al 25% e che non sono prevedibili ulteriori futuri periodi di inabilità temporanea totale e/o parziale stante la stabilizzazione del quadro clinico e che quali esiti delle lesioni riportate nel sinistro in oggetto permane un significativa riduzione dell’efficienza estetica dell’interessata che giustifica un danno alla persona risarcibile in ambito di Responsabilità civile nella misura del 9%”

In replica alle osservazioni del CTP di parte ricorrente il CTU ha così replicato” innanzitutto mi sia consentita una riflessione critica: ridurre la valutazione medico legale del danno alla persona ad una mera misurazione di centimetri risulta francamente poco gratificante per la professionalità del medico legale che al contrario matura il proprio orientamento su ragionamenti assai più complessi che presuppongono la valutazione di una pluralità di elementi quali il concetto di danno biologico nella sua evoluzione storica, le preesistenze ivi comprese quelle fisiologiche, la reale valenza di un danno all’efficienza estetica come nel caso in oggetto, la valutazione per analogia rispetto a lesioni similari, etc. Diversamente sarebbe sufficiente un programma informatico per proporre una valutazione di danno biologico. Ciò premesso invito a considerare come le Linee Guida menzionate dal sottoscritto e richiamate dal collega di parte attrice non si limitano a proporre lo schema delle classi di danno ma allo stesso schema fa precedere: 1 ” nel caso in esame, ricordo, abbiamo un esito cicatriziale irregolare, ipertrofico e discromico, interessante il braccio sn di 24 cm di lunghezza e di larghezza massima di 4 cm, per cui ampiamente corrispondente al chiaro esempio riportate nel bareme di classe III. 3. Potremmo discutere per tutta la vita, senza trovare una soluzione condivisa dalla maggior parte dei medici legali, sulla reale incidenza menomativa delle singole menomazioni, poiché ognuno di noi ha la propria sensibilità e le proprie convinzioni. I bareme valutativi del danno biologico non hanno la pretesa di essere giusti in assoluto, anzi sono molto spesso, per non dire sempre, il frutto di mediazione e sintesi tra i diversi pareri de i gruppi di lavoro che hanno partecipato alla stesura. I bareme hanno uno scopo ed una funzione chiari ed evidenti, una volta approvati dalla Società scientifica, quello di essere uguali per tutti in tutta l’Italia, e, quindi, di evitare che la stessa menomazione sia valutata in modo ingiustificatamente e sproporzionatamente difforme, a seconda della sensibilità del valutatore. La discrezionalità valutativa, in relazione al caso specifico, è comunque garantita dalla forbice tra la valutazione minima e quella massima, nel caso specifico 16 -25% di danno biologico. Il criterio dell’analogia è applicabile solo quando un caso concreto non è espressamente previsto, ma in questo caso i bareme prevedono espressamente il caso in esame. 5. In conclusione i bareme sono l’unico strumento, nell’ambito della valutazione del danno biologico, per garantire una quantificazione risarcitiva, il più possibile uguale per tutti, del danno ingiusto alla salute, in ottemperanza all’articolo 3 della Costituzione: la legge è uguale per tutti. L’applicazione dei bareme in modo non conforme a quanto esplicitamente previsto dai bareme stessi e non altrimenti interpretabile, costituisce una evidente violazione dell’articolo 3 della Costituzione, poiché consente, a seconda della particolare sensibilità del valutatore su quella particolare menomazione, una sperequazione valutativa e quindi viola il principio di uguaglianza di fronte alla legge. Per i motivi esposti chiedo la rivalutazione del danno biologico nell’ambito della III classe del danno estetico che prevede un danno biologico dal 16 al 25%”.

“….la coscienza della menomazione resa obiettiva dal giudizio negativo di chi osserva il soggetto” proponendo esempi di danni che evidentemente servono al fine d applicare proprio la criteriologia analogica. E nella classe di Ip dal 6% al 9% vengono richiamati danni quali la perdita di un padiglione auricolare, marcata deformazione della piramide nasale, uno strabismo evidente; trattasi di danni estetici rilevanti in quanto sempre oggetto di apprezzamento da parte di terze persone ( in quanto interessanti il volto) alle quali per analogia possono essere equiparate “estese aree cicatriziali al tronco ed agli arti” a compensare la persistenza dell’esposizione a terze persone con la estensione delle stesse e di certo meno significati vedi ” perdita di gran parte del naso” o “asimmetrie facciali marcate” con previsione di Ip dal 10 al 20%. Tali sono le motivazioni che hanno portato alla valutazione proposta dal sottoscritto CTU basata non solo sul parametro ” lunghezza” ma su una complessa tecnica valutativa medico legale. Certamente concordo con il collega laddove segnala che le difficoltà di una valutazione oggettiva uniforme stanti le difformi sensibilità e convinzioni dell’esaminatore ma non si condivide una impostazione critica, certamente legittima, basata solo e soltanto sul richiamo ad una classificazione in relazione ad un unico parametro quale quello della lunghezza. In merito alla non troppo velata censura di violazione dell’Art. 3 della Costituzione riterrei la stessa non meritevole di commenti.”

Il Tribunale condivide le conclusioni del CTU e applicando le Tabelle milanesi addiviene all’importo di euro 20.297,00 per danno biologico permanente, oltre all’importo di euro 4.450,00 per danno biologico temporaneo.

Riguardo il danno patrimoniale subito, la ricorrente ha documentato spese per consulenza tecnica ante causam per euro 610,00 e per il rilascio della cartella clinica per euro 15,00 che vengono dichiarate rimborsabili.

Dalla somma liquidata deve essere decurtato quanto corrisposto dall’Inail pari ad euro 9.696,12.

In sintesi, la datrice di lavoro deve corrispondere alla lavoratrice l’importo di euro 15.675,88, oltre le spese di CTU.

In conclusione, il Tribunale condanna la datrice di lavoro al pagamento della somma complessiva di euro 15.675, 88 a titolo di danno non patrimoniale e patrimoniale, oltre interessi; pone le spese di C.T.U. a carico della convenuta ; dichiara compensate fra le parti le spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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