Con la sentenza in commento, il Tribunale di Napoli (22 luglio 2014, n. 11044) si riapre il dibattito sull’autonomia del danno da mancata informazione al paziente.
Come è noto, e come più volte evidenziato dalle colonne di questo quotidiano, quello del consenso informato sembra essere un nodo difficilissimo da sciogliere.
Più volte, infatti, gli Ermellini hanno espresso su questo tema opinioni difformi e differenti che passano dalla non obbligatorietà del consenso in determinati casi, alla assoluta necessità dello stesso anche in situazioni di emergenza con il paziente già sul tavolo operatorio.
Le sentenze, nel tempo, si sono orientate in maniera così restrittiva da far assurgere al rango di danno a sé stante qualsivoglia imperfezione del procedimento informazione-consenso, danno che, molto spesso, veniva sommato al danno biologico accertato giudizialmente in seguito a casi di malpractice medica.
Ebbene, nel mare dell’incertezza interviene, come detto, il Tribunale di Napoli con una sentenza che sembra, finalmente, ricondurre al buon senso la “verve” risarcitoria in tema di responsabilità medica.
Nel caso di specie, una signora fu sottoposta ad intervento di tiroidectomia a seguito di diagnosi di nodulo alla tiroide di sospetta origine cancerosa. A seguito dell’intervento, eseguito non a regola d’arte a quanto pare, la signora lamentava problemi di ipotiroidismo e di paraipotiroidismo derivanti, a suo dire, dalla errata esecuzione dell’intervento. Di più! Secondo la attrice, come confermato poi dai CTU, l’intervento fu eseguito frettolosamente poiché un approfondimento diagnostico avrebbe permesso di accertare la natura benigna della lesione e, quindi, l’inutilità di intervenire. Da ultimo, veniva richiesto il risarcimento del danno da incompleto o mancato consenso informato in aggiunta al danno biologico.
Orbene, secondo il giudice di merito tale ultima categoria di danno non è risarcibile come voce distinta dal danno biologico. Nello specifico, dice il giudicante, la lesione del diritto costituzionalmente garantito, alla autodeterminazione in riferimento alla scelta di sottoporsi all’intervento va sempre rispettato dal sanitario, salvo che non vi siano ragioni di urgenza, ovvero, condizioni tali da mettere in pericolo grave la persona. Per poter trovare ristoro, quindi, la parte istante deve fornire prova di aver subito un danno che superi la soglia minima di tollerabilità consistente, quindi, in disagi reali e seri (non futili) che, però, devono essere esplicitati con precisione e, soprattutto, allegati in via istruttoria dall’istante.
Tuttavia, in caso di liquidazione del danno biologico, ammettere la liquidazione del danno da mancato consenso, significherebbe duplicare una tutela risarcitoria, e questo poiché nella valutazione del danno è già ricompreso il ristoro di ogni tipo di disagio patito.
Una sentenza semplice e chiara che si spera trovi conferma e conforto in altre decisioni analoghe. Queste pronunce, che paiono animate da equità e buonsenso, costituiscono, più di mille disegni di legge e decreti vari, delle ottime basi per ricondurre nell’alveo della normalità il contenzioso giudiziario sulla responsabilità medica che, complici anche le numerose ed eterogenee opinioni delle Corti superiori, ha da tempo preso una deriva che lentamente, ma inesorabilmente, sta intaccando le fondamenta della professione medica.
Avv. Gianluca Mari
Caro Avvocato la sua opinione è condivisibile solo in senso paternalistico con l’obiettivo di ridurre i risarcimenti e far rientrare nel settore “malpractice medica” le compagnie di assicurazione. Giuridicamente il giudice napoletano ha confuso le poste. In questi casi si ledono due distinti diritti costituzionalmente tutelati, uno è il diritto all’autodeterminazione e l’altro è quello alla salute. Dalla lesione di due diritti differenti (anche se conseguenti uno dall’altro) ci si deve attendere due risarcimenti, uno in forma equitativa e l’altro secondo tabelle medicolegali e di legge.
Carmelo Galipò