Lo ha stabilito la Corte di Cassazione in riferimento al ricorso di un dipendente licenziato dall’Azienda per il venir meno del rapporto fiduciario a causa della presunta non veritiera giustificazione addotta sul ritardo dell’entrata in servizio

La giustificazione addotta dal dipendente, arrivato tardi a lavoro, non sarebbe stata veritiera. E così la società datrice ha deciso di licenziarlo richiamandosi al venir meno del rapporto fiduciario.

Ma l’uomo, che aveva giustificato il ritardo con lo straordinario svolto la sera precedente,  ha deciso di agire in giudizio contro l’azienda e, in terzo grado di giudizio, la Corte di Cassazione gli ha dato ragione ribaltando le decisioni del Tribunale di primo grado e della Corte di Appello.

Quest’ultima, nello specifico, aveva respinto il suo ricorso rilevando che “la circostanza giustificativa addotta dal lavoratore non era emersa dall’istruttoria svolta e che era stato lo stesso lavoratore ad ammettere, in una missiva …(…).. altra causale del ritardo, dovuta a proprie condizioni di salute”.

Contro tale sentenza il dipendente si è rivolto alla Corte di Cassazione. Alla base del suo ricorso, in particolare, la circostanza secondo cui i giudici di secondo grado  non avrebbero tenuto in adeguata considerazione le risultanze emerse nel corso dell’istruttoria, “adducendo, a sostegno della decisione, una motivazione che, oltre ad essere intrinsecamente contraddittoria, non trova nessun riscontro nelle prove testimoniali raccolte”.

Per il lavoratore, inoltre, la Corte d’Appello aveva “omesso qualsiasi apprezzamento del grado della colpa o anche dell’elemento intenzionale, così come anche una valutazione dell’effettiva gravità e portata della medesima condotta”. L’uomo, peraltro, evidenziava come apparisse oggettivamente inspiegabile che un mero ritardo al lavoro e la non veridicità della sua giustificazione potesse essere stato posto a fondamento di un licenziamento per giusta causa, soprattutto “in punto di pretesa lesione del vincolo fiduciario”.

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 7419 del 14 aprile 2016, ha accolto le argomentazioni del dipendente licenziato, annullando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa alla Corte d’Appello affinché colmasse “le lacune riguardo alla valutazione in ordine alla sussistenza della giusta causa sulla scorta dei fatti accertati”.

Per gli Ermellini, infatti,  il giudice di secondo grado non avrebbe compiutamente analizzato la gravità del fatto contestato, così come non avrebbe adeguatamente valutato la sua “idoneità a ledere il vincolo fiduciario (anche in relazione alla successiva condotta sostanziatosi nella menzogna)” e pertanto la sentenza andava annullata.

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