Respinto il ricorso di un’azienda condannata a versare cinquemila euro a un lavoratore a titolo di risarcimento per mobbing lavorativo

Con l’ordinanza n. 27812/2020, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un’azienda condannata in sede di merito a versare a un ex dipendente la somma di euro 5.000,00 a titolo di danno biologico temporaneo, il 20% della retribuzione percepita per il periodo dal 16.3.2009 alle dimissioni, a titolo di risarcimento del danno alla professionalità, nonché la somma di euro 287,84 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale emergente. La Corte territoriale, in particolare, aveva rilevato che, dalle risultanze istruttorie, era emersa una condotta vessatoria e contraria, nei confronti del lavoratore, dal 23.2.2009 alla data delle dimissioni, con configurabilità del mobbing lavorativo e conseguente diritto al risarcimento del danno, anche in relazione ad un subito demansionamento.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, la parte ricorrente eccepiva, tra gli altri motivi, la nullità dell’impugnata sentenza perché sorretta da motivazione obiettivamente incomprensibile, illogica e contraddittoria, nonché la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc e dell’art.111 co. 4 Cost., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per non avere la Corte territoriale adeguatamente e sufficientemente chiarito su quali elementi avesse fondato il proprio convincimento e sulla base di quale argomentazione fosse pervenuta al suddetto convincimento.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto di non aderire alla doglianza proposta.

Dal Palazzaccio hanno infatti chiarito come il vizio di motivazione possa essere censurato in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cpc, in relazione all’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente ovvero manifestamente contraddittoria ed incomprensibile. Nel caso in esame, invece, la Corte territoriale, con adeguata ed esauriente motivazione, aveva dato atto delle ragioni per cui aveva ritenuto dimostrata la sussistenza di una condotta lesiva, facente capo alla responsabilità del datore di lavoro, attuata mediante una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, posti in essere in modo prolungato contro il dipendente con intento vessatorio, che aveva comportato quale conseguenza l’evento lesivo della salute.

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