Nessun risarcimento a un automobilista che chiedeva i danni subiti a causa dell’urto con un grosso albero caduto sulla strada

E’ esclusa la responsabilità da cose in custodia in capo all’ente proprietario e gestore della strada per i danni patiti dal conducente di un veicolo che abbia impattato contro un grosso albero caduto sulla strada in prossimità del suo passaggio, non potendo il custode rispondere dei danni cagionati da un evento da qualificarsi oggettivamente non prevedibile come corrispondente alla normale regolarità causale nelle condizioni date dei luoghi e non tempestivamente eliminabile o segnalabile.

Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 27527/2021 pronunciandosi sul ricorso di un automobilista che si era visto respingere, in sede di merito, la domanda volta al risarcimento dei danni subiti in occasione di un incidente che lo aveva visto, alla guida della sua vettura, andare ad urtare contro un grosso albero di eucalipto appena caduto sulla sede stradale, riportando danni fisici e materiali.

La Corte territoriale, in particolare, aveva confermato che il danneggiato non aveva fornito la prova della concreta dinamica del sinistro né della caduta improvvisa dell’albero nell’imminenza del suo passaggio, giacché i testimoni escussi si erano limitati a descrivere la situazione dei luoghi e a ribadire che il giorno del sinistro sul territorio si era abbattuto un violento nubifragio; era dunque stata esclusa la responsabilità dell’ente convenuto non avendo quest’ultimo ragionevole possibilità di esercitare la custodia in considerazione della particolarità dell’evento generatore di danno e tenuto conto del comportamento colposo ascritto al danneggiato che aveva tenuto una velocità non adeguata allo stato dei luoghi.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, il ricorrente, tra gli altri motivi, contestava al Giudice a quo di aver ritenuto non provata la concreta dinamica del sinistro, né la caduta improvvisa dell’albero proprio nell’imminenza del passaggio in auto del ricorrente, concordando circa l’inidoneità delle deposizioni testimoniali e della produzione fotografica e l’assenza di indizi gravi precisi e concordanti che consentissero il ricorso al ragionamento presuntivo. Per il ricorrente, tutte le risultanze, ove esaminate dal giudice d’appello, dapprima analiticamente e poi in rapporto di vicendevole completamento, indicavano, invece, che l’albero era caduto improvvisamente e che non c’era stato modo di evitare l’impatto. Non solo: la Corte d’Appello, ad avviso del ricorrente, senza spiegare l’iter che l’aveva portata alla statuizione censurata, aveva ritenuto che la causa del sinistro dovesse, anche solo in maniera concausale, attribuirsi alla elevata velocità tenuta dal danneggiato, deducendolo prevalentemente dal fatto che l’auto che quest’ultimo conduceva era stata trovata sopra i rami dell’albero, il quale, dunque, non poteva che essere adagiato al suolo già prima dell’impatto, ma omettendo di considerare che non erano state rilevate tracce di frenata e che i carabinieri non avevano elevato alcuna contravvenzione per violazione del Codice della Strada nei confronti del danneggiato.

Gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza non meritevole di accoglimento.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, è concorde nel ritenere che “il caso fortuito può essere costituito da eventi che si inseriscono, spezzandola, nell’ordinaria serie causale che prende le mosse dall’esistenza della cosa custodita, eventi che (…) devono essere “non conoscibili né eliminabili con immediatezza” (…)”. Il caso fortuito, ove ricorrente, spezza la serie causale ovvero “toglie di mezzo” gli effetti giuridici della serie causale ordinaria, rappresentando un quid che “esorbita dall’attività custodiate, ovvero dall’area del possibile propria della vigilanza: il fortuito è quel che è impossibile vigilare”.

Sulla scorta di quanto riportato, nel caso di specie doveva accertarsi se potesse esigersi da parte del Comune quell’ulteriore attività diretta ad eliminare gli elementi pericolosi non prevedibili, ma che si erano comunque verificati, giacché è in questi termini che si rapporta la concretizzazione della responsabilità del custode, escludendola nel caso in cui il custode non abbia avuto tempo sufficiente per intervenire a eliminare l’imprevisto/imprevedibile – definibile “caso fortuito” – e quindi disinserirlo dalla serie causale in cui coinvolta è la cosa custodita. Da esaminare era dunque la ricorrenza di un evento caratterizzato da imprevedibilità ed inevitabilità.

Come già affermato dalla Suprema Corte, il concetto della prevedibilità si rapporta intrinsecamente a quello della conoscibilità, utilizzato per esprimere proprio l’obbligo del custode di prevedere lo status in cui può venire a trovarsi il bene che custodisce. La vigilanza del custode, in ultima analisi, viene ad essere circoscritta dal suo opposto, cioè dal caso fortuito, che traduce in riferimento alla posizione del custode il generale principio ad impossibilia nemo tenetur. Le caratteristiche della cosa custodita, infatti, plasmano e delimitano il caso fortuito, configurando l’obbligo custodiale sotto il profilo ex ante, ovvero della prevedibilità che rientra quindi nella possibilità giuridica dell’adempimento dell’obbligo stesso, da valutare non solo in base all’estensione dell’intero bene, ma anche alla luce di tutte le circostanze del caso concreto.

La Corte territoriale aveva quindi correttamente escluso la responsabilità del Comune, data la ricorrenza del caso fortuito costituito dall’alterazione imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile della res custodita. L’evento occorso, infatti, non era prevedibile e quindi non risultava evitabile da parte del Comune, in virtù della circostanza di essersi formato poco prima del sinistro per una causa estrinseca ed estemporanea creata da un nubifragio eccezionale; nella specie, dunque, l’evento era connotato da oggettiva imprevedibilità, da intendere “come obiettiva inverosimiglianza dell’evento” e da eccezionalità, cioè da “sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come “normale”, vale a dire entro margini di oscillazione – anche ampi – intorno alla media statistica, che escludano i picchi estremi, se isolati, per identificare valori comunemente accettati come di ricorrenza ordinaria o tollerabile e, in quanto tali, definibili come ragionevoli”.

La redazione giuridica

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