Respinto il ricorso del CONI contro la condanna a risarcire un cittadino caduto sui gradini dello stadio a causa della presenza di liquido oleoso
“La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo l’amministrazione liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l’evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione”. Lo ha chiarito la Cassazione con l’ordinanza n. 8214/2021 pronunciandosi sul ricorso presentato da CONI Servizi Spa contro la decisione dei Giudici del merito di accogliere la domanda di un cittadino – caduto scivolando su un liquido oleoso sparso sui gradini dello stadio Olimpico, durante lo svolgimento di un incontro di calcio – che aveva agito in giudizio nei confronti dell’ente proprietario dello stadio imputando a quest’ultimo una responsabilità da omessa custodia e chiedendo, conseguentemente, il risarcimento dei danni alla persona subiti a causa di quella caduta.
Il Giudice di primo grado aveva respinto la domanda, ritenendo che dalla istruttoria effettuata si poteva dedurre che il liquido che aveva causato lo scivolo era stato versato da terzi, ossia da qualcuno dei presenti allo stadio, e che dunque non poteva ritenersi un difetto di custodia del Coni.
Questa ricostruzione era stata invece disattesa dal giudice di appello, che, interpretando diversamente le deposizioni testimoniali, aveva ritenuto che la macchia oleosa non fosse attribuibile alla condotta di terzi e che il Coni non avesse fornito alcuna prova liberatoria.
Nel rivolgersi alla Suprema Corte la ricorrente contestava al Giudice di secondo grado di essere incorso in errore nel ritenere che dalla deposizione dei testi fosse emerso che la sostanza oleosa non era stata versata da taluno del pubblico ma piuttosto era “prodotta” dallo stesso impianto sportivo. Secondo il Coni invece dalle prove assunte questa conclusione non era affatto emersa, ed anzi, era da ritenersi preferibile la ricostruzione fatta dal giudice di primo grado.
La Corte territoriale avrebbe inoltre travisato il significato della norma ritenendo provato il nesso di causalità tra la macchia oleosa e la caduta, quando invece il rapporto di causalità andava istituito tra la custodia dell’impianto e la caduta, essendo la macchia d’olio un fattore esterno che costituiva caso fortuito e dunque la sua stessa presenza esonerava il proprietario della struttura da responsabilità.
Gli Ermellini hanno ritenuto infondate le doglianze proposte.
La Cassazione ha infatti ribadito “che nei casi riferibili all’articolo 2051 c.c. il danneggiato ha l’onere di provare il nesso di causa tra il danno subito e il ‘dinamismo’ della cosa, mentre grava sul custode la prova liberatoria del fortuito”; dal Palazzaccio hanno poi evidenziato come la condotta del terzo che abbia reso la cosa pericolosa “rientra tra i casi di prova liberatoria, ossia integra il caso fortuito quando, data l’immediatezza del danno rispetto alla condotta del terzo, il custode non ha avuto possibilità di intervenire ed impedire ìl pregiudizio”.
In sostanza, la dimostrazione che il liquido è stato versato da terzi e che non è stato possibile intervenire tempestivamente per eliminarlo grava sul custode, in quanto costituisce oggetto della prova liberatoria, e dunque correttamente la Corte ha ritenuto che la dimostrazione di tale condizione gravava sul Coni e non sul danneggiato, come invece assumeva il CONI.
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