Nell’inchiesta per la morte della 12enne deceduta per ipertermia maligna dopo un intervento al femore, la consulenza tecnica precisa come la diagnosi ritardata da parte dei medici abbia avuto un ruolo decisivo.

Novità sul caso del decesso della dodicenne morta per ipertermia maligna all’ospedale Pediatrico di Bari Giovanni XXIII sei mesi fa. Nelle oltre cento pagine della consulenza tecnica condotta dai periti nominati dalla Procura di Bari, Giuseppe Carravetta (anestesista) e Eloisa Maselli (medico legale), si fa luce su quanto avvenne quel 19 settembre 2017.

La consulenza tecnica, infatti, ha evidenziato – nel caso della dodicenne morta per ipertermia maligna – un ritardo di circa tre ore nella diagnosi. Non solo.

Ha messo in luce il fatto che il comportamento dei medici anestesisti sia stato “non congruo alle linee guida e buone pratiche assistenziali”.

Inoltre, si legge della lacerazione della vena giugulare destra provocata dal tentativo di trovare un accesso venoso, di un farmaco salvavita che forse non c’era e se c’era forse era scaduto.

Ancora, si parla dell’allontanamento dalla sala operatoria della specializzanda che aveva individuato il problema, di un termometro di sala operatoria rotto e di un dato di laboratorio non tenuto in considerazione.

Un quadro drammatico quello descritto dalla consulenza tecnica sul caso del decesso della giovane ragazza che si era sottoposta a un intervento al femore.

Perché se si sa per certo che la morte è avvenuta per ipetermia maligna, si ipotizza che con una diagnosi tempestiva e la somministrazione del farmaco dantrolene le cose – forse – sarebbero andate diversamente.

Come riporta il Corriere del Mezzogiorno, i periti della Procura affermano quanto segue. “Non è possibile affermare con assoluta certezza che la somministrazione tempestiva del dantrolene avrebbe evitato il decesso”.

Tuttavia, aggiungono che la mortalità per ipertermia maligna prima dell’introduzione del dantrolene era del 64%, con il suo utilizzo le percentuali sono calate dall’1,4 al 16,4.

In base alla ricostruzione dei medici legali, e in seguito agli interrogatori condotti dalla pm Bruna Manganelli e dagli atti dell’inchiesta interna del nosocomio, emerge un ritardo nella diagnosi e quindi nella somministrazione del dantrolene.

Ma oltre a questo, si evidenzia una confusione sulla presenza o meno del farmaco salvavita e sulla sua data di scadenza.

Dalla consulenza di parte chiesta dalla famiglia della dodicenne emerge invece un’altra novità.

Sembra che tre giorni prima dell’intervento, alcune analisi segnalarono un “massivo aumento del Cpk”. Un aumento talmente sballato da indurre a ripetere l’esame pensando a un errore. E invece il dato fu confermato.

Come spiegato dai consulenti della famiglia “tra le condizioni patologiche associate a Cpk alto c’è la predisposizione all’ipertermia maligna”. Un dato che pare sia stato ignorato dai medici.

Ma sono ancora molti i punti oscuri nell’inchiesta per il decesso della dodicenne morta per ipertermia maligna.

Ad esempio, il fatto che a gestire da sola l’intervento si sia trovata una specializzanda e che quando questa fu raggiunta dall’anestesista responsabile e poi dal primario del reparto, fu allontanata. Questo nonostante avesse individuato il problema manifestando il sospetto che potesse trattarsi di ipertermia maligna.

La diagnosi corretta venne fatta solo successivamente, nel reparto di terapia intensiva. Così è stato ricostruito in base alla cartella clinica e alle testimonianze.

Una diagnosi poi confermata anche dall’autopsia.

 

 

 

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