Neonata scivola dall’incubatrice e si frattura il cranio

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La neonata scivola dall’incubatrice e alle infermiere viene contestato l’erroneo posizionamento rialzato dell’incubatrice, la mancata esecuzione della check list all’utilizzo (trazione del portello) e la mancata osservazione della posizione della bambina, che, posta in posizione antireflusso, era scivolata verso il punto più declive a contatto con l’oblò, cadendo a terra. La Suprema Corte cassa in punto di responsabilità (Corte di Cassazione, IV penale, sentenza 24 luglio 2024, n. 30332).

Il caso

Il 23 gennaio 2012 la neonata scivola dall’incubatrice cadendo a terra dall’altezza di 105 centimetri nel reparto di neonatologia dell’Ospedale Fatebenefratelli S. Giovanni Calibita di Roma.

Alle infermiere in turno in servizio presso il Reparto di neonatologia dell’Ospedale Fatebenefratelli S. Giovanni Calibita di Roma era stato imputato di aver cagionato alla piccola, che era scivolata dalla culla, lesioni personali consistite in trauma cranico con rima frattura composta della teca cranica.

Nello specifico, erano state imputate per l’errato posizionamento rialzato dell’incubatrice, della mancata esecuzione della trazione del portello e della mancata osservazione della posizione della bambina, che, sistemata in posizione antireflusso, scivolava verso l’oblò e cadeva a terra.

In primo grado il medico presente, Primario, caposala e le altre colleghe, tutti assenti, erano stati assolti.

La Corte territoriale ha rilevato il decorso dei termini massimi di prescrizione, intervenuti alla data del 20/07/2020, dichiarando l’estinzione del reato ascritto, in difetto di prova incontrovertibile della innocenza delle imputate. Inoltre, ha confermato la condanna al risarcimento del danno pronunciata in primo grado.

Il vaglio della Cassazione

Le imputate contestano la dichiarata estinzione del reato (argomentando che all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità imposta dall’art. 129 cpp, quando in sede di appello, pur essendo sopravvenuta una causa estintiva del reato, la presenza della parte civile imponga di valutare “a cognizione piena” il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili) e la carenza di motivazione riguardo all’accertamento della responsabilità delle imputate ai fini civili.

Le parti civili contestano contraddittorietà con riferimento all’accertamento dell’obbligazione risarcitoria e violazione di legge in ordine alla natura civilistica dell’accertamento con riferimento al nesso causale ed all’elemento soggettivo dell’illecito.

Secondo le parti civili, la sentenza sarebbe contraddittoria perché da un lato ha dichiarato che, stante la prescrizione del reato, l’accertamento tra le condotte colpose poste in essere dalle infermiere ed il danno alle parti civili andava ricercato secondo il canone civilistico del più probabile che non e non della alta probabilità logica, mentre nella seconda parte ha fatto riferimento al criterio dell’alta probabilità logica.

L’accertamento di responsabilità

La Cassazione, sull’accertamento di responsabilità penale in relazione alla consequenziale adozione delle statuizioni civili a carico delle ricorrenti, chiarisce che il giudice penale di merito ha l’obbligo di procedere ad un approfondito accertamento, secondo le regole proprie del giudizio penale.

I Giudici di Appello hanno affermato di condividere la decisione di primo grado che aveva valorizzato le prove dichiarative e la certificazione medica versata in atti da cui, inequivocabilmente, si evinceva che a seguito delle condotte contestate alle infermiere, la neonata era scivolata dall’incubatrice riportando lesioni per trauma cranico, concludendo poi genericamente con il richiamare in punto di fatto le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata.

Così facendo, però, il Giudice di secondo grado, ha omesso di esaminare i motivi di appello, finendo per convalidare anche le ragioni per le quali si sarebbero appurati i presupposti richiesti dall’art. 2043 c.c.

La censura è corretta perché, in presenza di un atto di appello, il Giudice non può limitarsi al mero rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado in quanto ha l’obbligo di motivare su ogni punto a lui devoluto.

La mancanza di una prova certa

Le imputate avevano rilevato la mancanza di prova certa, per l’avvenuta sostituzione della serratura dell’oblò dopo pochi giorni dall’evento, la ricorrenza di una delle possibili condotte alternative ritenute ascrivibili alle infermiere (la non corretta chiusura dell’oblò e/o la mancata esecuzione della check list) ritenute idonee ad evitare l’evento caduta.

Secondo la tesi delle imputate, il mancato vaglio di un difetto occulto nel meccanismo di chiusura dell’oblò (rappresentato dalle dichiarazioni del tecnico D.P.M., rese in data 16 luglio 2012, che aveva constatato che l’oblò si apriva in modo anomalo mediante una media pressione dall’interno della culla) avrebbe confermato che l’evento era stato determinato da un malfunzionamento non rilevabile dalle manovre di controllo.

La Corte territoriale ha operato solo un generico riferimento alla motivazione del Tribunale a sostegno della propria decisione di conferma della responsabilità civile delle infermiere, ritenendo senza verificare concretamente il ragionamento probatorio svolto dal Tribunale.

Per tali ragioni, la sentenza impugnata viene annullata con rinvio al Giudice civile, ai soli effetti civili, in relazione all’accertamento sulla responsabilità delle infermiere relativamente al fatto di reato loro contestato. Restano quindi assorbiti tutti i profili inerenti al risarcimento del danno e del ricorso proposto dalle parti civili.

Avv. Emanuela Foligno

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