La mancata esecuzione di laparoscopia diagnostica prolungava solamente il periodo di malattia e inabilità temporanea (Cassazione Civile, sez. III, n.2738, ud. 12/01/2024, dep. 30/01/2024).
La vicenda
La paziente citava in giudizio l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia autonoma di Bolzano innanzi al Tribunale di Trento, chiedendo il risarcimento della somma di 38.470,13 euro per il danno alla salute cagionato dall’inadempimento della prestazione sanitaria da parte dei sanitari.
Il Tribunale accoglieva la domanda nei limiti di 937,60 euro. Tale decisione perché i Sanitari dell’Ospedale Santa Chiara di Trento avevano formulato una diagnosi esatta, con corretta terapia antibiotica, mentre la mancata esecuzione di laparoscopia diagnostica aveva soltanto determinato un prolungamento del periodo di malattia ed inabilità temporanea dell’attrice, per cui non vi era alcun danno di natura permanente. La Corte di Appello di Trento (sent. 30 giugno 2020) rigettava la domanda della paziente.
Il ritardo era da addebitare alla paziente e non all’ospedale
I Giudici osservavano, nello specifico, che la paziente, dopo essere stata dimessa il 6 giugno 2013 dall’Ospedale Santa Chiara, era stata sottoposta a due controlli, il 12 ed il 14 giugno 2013, nei quali, come rilevato dal CTU, “era stata correttamente, in conformità alle linee guida, prescritta la terapia antibiotica e che l’asserito ritardo in relazione all’ulteriore accertamento (laparoscopia diagnostica) era addebitabile non alla struttura, ma alla stessa paziente, la quale, il giorno 14 giugno, si era allontanata dal pronto soccorso dell’ospedale, dove la ginecologa della medesima struttura l’aveva inviata, avvedutasi di un anomalo gonfiore al braccio sinistro, impedendo così anche la conclusione della visita ginecologica, rimasta in sospeso dopo la “anamnesi e valutazione“.
Aggiungevano che il ritardo di tre giorni dell’ulteriore accertamento, eseguito il 17 giugno 2013 presso la struttura privata ove poi la paziente si era recata, era, come emergeva dalla CTU, “ininfluente, posto che le condizioni cliniche della paziente non erano tali da richiedere l’intervento chirurgico di asportazione dell’ovaio sinistro, eseguito presso la medesima struttura privata, intervento non necessario, né urgente, perché richiesto solo a seguito di fallimento della terapia antibiotica, le cui probabilità di successo erano pari al 65%”.
Il giudizio della Cassazione
La paziente deduce che il Giudice di Appello avrebbe interpretato erroneamente come volontario l’allontanamento della paziente dall’ospedale e avrebbe omesso ogni indagine sul nesso causale, violando la regola di riparto dell’onere probatorio.
Aggiunge che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che era stato rilasciato il referto dalla ginecologia e che non vi è prova che alla paziente, dopo la visita, fosse stato riferito di fermarsi presso il pronto soccorso per essere poi reindirizzata presso il reparto di ginecologia.
Le censure della donna vengono rigettate. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per Cassazione è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il Giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie.
La valutazione della prova
La censura riguarda la valutazione della prova e non coglie che l’accertamento sul nesso causale è stato svolto dal Giudice di Appello, il quale ha accertato che:
- a) l’asserito ritardo in relazione all’ulteriore accertamento (laparoscopia diagnostica) era addebitabile non alla struttura sanitaria, ma alla stessa paziente, per essersi allontanata dalla struttura;
- b) il ritardo era comunque ininfluente dal punto di vista eziologico, posto che le condizioni cliniche della paziente non erano tali da richiedere l’intervento chirurgico di asportazione dell’ovaio sinistro, intervento non necessario, né urgente.
Quanto al resto, la S.C. considera “eccentrica” rispetto alla ratio decidendi la natura della censura della paziente, perché il Giudice del merito ha positivamente accertato (e dunque si esclude il ricorso alla regola residuale dell’onere della prova), che non vi è stato alcun contributo causale della Struttura S. Chiara all’evento di danno denunciato.
Viene rammentato, a questo proposito, che le regole sull’onere della prova sono disposizioni di giudizio residuali rispetto al principio di acquisizione probatoria – secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono alla formazione del libero convincimento del Giudice (non condizionato dalla loro provenienza) – e trovano, dunque, applicazione solo in presenza di un fatto rilevante rimasto ignoto sulla base delle emergenze probatorie (fra le tante, da ultimo, Cass. n. 9863 del 2023).
Avv. Emanuela Foligno