Omessa profilassi antitrombotica post intervento chirurgico (Corte Appello Cagliari, sentenza n. 24/2023 pubbl. il 20/01/2023).

Intervento chirurgico e omessa profilassi antitrombotica causano trombosi venosa profonda all’arto inferiore sinistro.

Il Tribunale accoglieva la domanda proposta dal paziente nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale e accertava la responsabilità dei sanitari per le conseguenze derivanti dall’intervento di appendicectomia eseguito il 14.2.2005.

In particolare, il Giudice di primo grado, premesso che il paziente lamentava la omessa profilassi antitrombotica, subendo per tale motivo una trombosi venosa profonda all’arto inferiore sx diagnosticata con estremo ritardo, nonché l’assenza di una corretta toeletta chirurgica con conseguente compromissione dell’apparato vascolare sx, ed un danno estetico dovuto alla presenza di vistoso edema, sulla scorta della CTU – che riconosceva un danno permanente nella misura del 15%- condannava i Sanitari.

L’Azienda sanitaria propone appello lamentando che il primo Giudice non dava seguito ai rilievi mossi dal CTP e si limitava a richiamare il contenuto della CTU difettando di illustrare il percorso logico seguito.

La Corte ritiene l’appello infondato.

Il primo Giudice, viene evidenziato, ha richiamato il contenuto della Consulenza disposta in sede di ATP specificando che la stessa risultava esaustiva dal punto di vista delle indagini tecniche, svolta nel contraddittorio tra le parti e approfondita anche riguardo le precisazioni alle osservazioni dei CTP. Oltre a ciò, il primo Giudice, nell’aderire alle conclusioni dei Consulenti, richiamava anche specifica giurisprudenza secondo cui “quando il Giudice aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, ai rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte (per tutte Cass. n. 1815/15)”.

L’orientamento richiamato è pacifico e costante.

Ciò posto, la CTU ha accertato che “il paziente dopo essere stato sottoposto a intervento di appendicectomia, e dimesso il 23.2.2005, dopo quattro diversi consulti veniva sottoposto in data 11.3.2005 a intervento di posizionamento di filtro cavale, per poi essere ricoverato dal 15.6. al 20.6.2005 per una fistola entero-cutanea sx sviluppatasi sulla cicatrice della appendicectomia, e dopo cinque mesi, di nuovo ricoverato per la rimozione del filtro cavale….(….)…Tali condizioni pregiudizievoli erano determinate da una condotta imperita e negligente dei sanitari, sia in considerazione della mancata prevenzione della complicanza trombotica, sia tenuto conto della intempestività della diagnosi, nonostante l’avvicendarsi di ben quattro consulti chirurgici…..(…)… E’ indiscutibile che la terapia farmacologica, se somministrata avrebbe con elevata probabilità prevenuto lo sviluppo della trombosi diagnosticata il 10.3.2005, Tale diagnosi si sarebbe potura anticipare posto che nel periodo intercorso tra il momento della dimissione del 23.2.2005 il paziente si è sottoposto a plurime visite chirurgiche per la medicazione della ferita….(…)…E’ estremamente probabile che tanto una adeguata profilassi perioperatoria, quanto una più tempestiva diagnosi di TVP, avrebbero evitato la necessità di applicazione di un filtro cavale; lo stesso si sarebbe dovuto rimuovere a distanza di 6 mesi dal suo inserimento, mentre invece è stato lasciato in sede poiché i chirurghi vascolari non sono riusciti a portare a termine la estrazione…….tale ulteriore complicanza ha prodotto il prolungamento della terapia anticoagulante e il progressivo deterioramento del filtro cavale”.

Ebbene, le censure proposte dall’appellante sono le medesime avanzate in seno all’espletamento della CTU, e a tali osservazioni il Consulente ha fornito puntuale riscontro.

Il CTU, inoltre, ha indicato sia le linee guida successive all’intervento, sia differenti documenti di raccomandazione antecedenti all’epoca dei fatti, precisando che la trombosi venosa rappresenta una complicanza nota in letteratura e prevedibile.

Pacifica, quindi, la correttezza della CTU e del suo richiamo operato dal Giudice in sentenza, laddove viene sottolineato che a fronte del rapporto di causa tra intervento di appendicectomia e lesione lamentata dal paziente, provocata dalla omessa profilassi antitrombotica, incombeva sull’Azienda Sanitaria dimostrare la non imputabilità dell’evento. Ciò non è avvenuto.

Inoltre, giustamente, il primo Giudice ha evidenziato che il breve lasso di tempo intercorrente tra l’ultima consulenza chirurgica e la diagnosi di trombosi (7.3.2005 – 10.3.2005), rende estremamente probabile che il processo trombotico fosse già in essere in data 7.3.2005 e che i sanitari non abbiano correttamente interpretato i sintomi.

Conclusivamente, la Corte di Appello rigetta il gravame e condanna l’Azienda Sanitaria al pagamento delle spese di lite.

Avv. Emanuela Foligno

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