Violenza verbale e integrazione del reato di maltrattamenti (Cass. pen., sez. VI, dep. 15 marzo 2023, n. 11137).

Violenza verbale ai danni della compagna e integrazione del reato di maltrattamenti in famiglia.

I Giudici di merito hanno considerato integrato il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti dell’imputato per la reiterata violenza verbale nei confronti della compagna, ex convivente e madre del figlio.

I Giudici di merito chiariscono che deve essere attribuito rilievo anche alla violenza verbale, in quanto idonea a determinare un perdurante stato di sofferenza e di prostrazione nella persona offesa. Dette circostanze sono idonee a integrare il reato di maltrattamenti in famiglia, con conseguente diritto della persona offesa al risarcimento del danno.

La vicenda approda in Cassazione dove l’imputato sostiene la genericità delle dichiarazioni della persona offesa derivanti dal rancore della stessa.

Inoltre, sempre secondo la tesi del ricorrente, i Giudici di merito hanno omesso di valutare la circostanza determinante della interruzione della convivenza more uxorio tra le parti e del trasferimento in altra città da parte della persona offesa. Le due circostanze implicherebbero, sempre secondo la tesi dell’imputato, la limitata frequentazione fisica e la sussistenza, perlopiù, di comunicazione telefoniche, non idonee a integrare la condotta di violenza verbale contestata come maltrattamenti in famiglia. Parrebbe giuridicamente corretto, pertanto, discorrere di minaccia aggravata e non di maltrattamenti.

La Suprema Corte, tuttavia, respinge le censure poiché infondate.

In primo luogo, viene rammentato il principio della “credibilità” delle dichiarazioni della persona offesa. La ricostruzione dei fatti posta in essere dalla donna risulta confermata dai contenuti dei videomessaggi e delle chat indirizzate dall’imputato alla donna.

In secondo luogo, le dichiarazioni rese dai testi hanno confermato sia il maltrattamento, che le perpetrate minacce in danno della ex compagna.

Rilevante, poi, la reiterazione delle condotte di maltrattamento “connotate dai caratteri di sistematicità e persistenza e di volta in volta concretizzatesi in offese, umiliazioni, minacce, aggressioni verbali e fisiche, talora in presenza anche del figlio minore della coppia, nel corso della convivenza per il rilevante periodo di oltre un decennio”.

La Suprema Corte ribadisce che il reato di maltrattamenti in famiglia non circoscrive l’incidenza penalistica della condotta entro il perimetro di una specifica forma di violenza, trattandosi di un reato a forma libera la cui previsione attribuisce rilievo anche alle violenze verbali, in quanto idonee a determinare, come verificatosi nel caso esaminato, un perdurante stato di sofferenza e di prostrazione nella persona offesa.

In altri termini, il maltrattamento in famiglia si concretizza, oltre per percosse, lesioni, ingiurie, minacce e umiliazioni, anche per atti di disprezzo e di offesa alla dignità, che sfociano in vere e proprie sofferenze morali.

Il ricorso dell’uomo viene integralmente respinto.

Avv. Emanuela Foligno

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