Il ritorno del processualista perverso, ovvero sugli oneri processuali nei giudizi ex art. 445 bis

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Con l’ordinanza in commento (Cassazione Civile Sez. Lavoro n. 30515/2024), la Suprema Corte torna a pronunciarsi in tema di oneri processuali e sul relativo esonero per redditi inferiori ai limiti di legge.

Per quanto concerne le controversie sottoposte al rito ex art. 445 bis c.p.c., sembra logico rammentare la norma originaria, ovvero il decreto 98/2011 all’art. 37 n. 6 lettera b che aveva introdotto nel DPR 115/2002 art. 9, dopo il comma 1 la seguente disposizione:

1-bis Nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego le parti che sono titolari di reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito , risultante dall’ultima dichiarazione, superiore al doppio dell’importo previsto dall’art. 76 sono soggette rispettivamente al contributo unificato di iscrizione al ruolo nella misura di cui all’art. 13, comma 1 lettera a), salvo che per i processi dinanzi alla Corte di Cassazione in cui il contributo è dovuto nella misura di cui all’art. 13 comma 1.

La confusione processuale ingenerata da tale norma ha prodotto nel corso degli anni di vigenza un fiume di decisioni, in ogni stato e grado di giudizio, e le più disparate correnti interpretative tanto in dottrina che in giurisprudenza, di cui vi è traccia nella pronuncia oggetto di queste righe – per confermarle o per smentirle – non meno di quattordici precedenti interni.

Si ricava dall’argomentato motivazionale dei Supremi Giudice come la giurisprudenza di legittimità abbia già più volte chiarito che l’art. 152 disp. att. C.p.c. nel testo modificato dal DL 269-2003, convertito nella legge 326-2003 laddove richiede che la parte che versi nelle condizioni reddituali per beneficiare dell’esonero dagli oneri processuali in caso di soccombenza renda apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione, va interpretato nel senso che tale dichiarazione deve essere formulata con il ricorso introduttivo di primo grado ed esplica la sua efficacia, senza necessità di ulteriore reiterazione anche nei gradi successivi (anche se l’evoluzione di tali condizioni non è indifferente cosicché l’interessato deve dichiarare le variazioni che facciano venir meno le condizioni di esonero e, per converso, ove tali condizioni si concretizzino nel corso del giudizio può rendere anche nei gradi successivi apposita dichiarazione).

Le condizioni minime formali per fruire dell’esonero degli oneri processuali

Le condizioni minime formali per fruire dell’esonero sono state riconosciute anche nell’ipotesi in cui dei contenuti sopra indicati venga dato conto nell’atto introduttivo del giudizio ancorché la dichiarazione sottoscritta dalla parte personalmente sia materialmente redatta su foglio separato ed essa sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo di primo grado e ritualmente prodotta con il medesimo.

Ricostruito per tale via il quadro normativo di riferimento, occorre considerare come il profilo del possibile carico degli oneri processuali rappresenti una delle se non la maggior barriera giuridica che si frappone fra le singole persone e la tutela integrale dei diritti davanti al giudice naturale precostituito per legge.

Più spesso di quanto si vorrebbe infatti le persone, messe davanti al rischio di un esito negativo, o non integralmente favorevole, della controversia preferiscono riproporre la domanda, riaprendo la fase amministrativa piuttosto che correre il rischio di un giudizio nel quale magari i dati sanitari sono controversi o comunque non esattamente granitici.

Se non è arbitrario attribuire la complessiva, considerevole flessione alla crisi economica e all’indebolimento della tutela sostanziale, connessa alla introduzione stessa del subprocedimento ex art. 445 bis, certamente nella suddetta flessione del contenzioso hanno avuto un ruolo significativo l’aumento delle spese giudiziali disposto dai d.m. n. 140/2012 e n. 55/2014 ed il ridimensionamento della gratuità del giudizio, attuato attraverso il contributo unificato, che ha natura tributaria ed è stato progressivamente applicato anche al processo assistenziale e previdenziale.

E se è vero che è stata prevista un’esenzione per condizioni di reddito anche per il contributo unificato, è pur vero che la relativa soglia è comunque piuttosto bassa se si considera che, secondo l’interpretazione ministeriale, bisogna riferirsi ai redditi di ogni componente della famiglia.

La compensazione delle spese

Con riguardo alla compensazione delle spese pure a fronte della evoluzione normativa come letta e corretta dalla giurisprudenza costituzionale emerge dalla esposizione precedente, alla eccessiva grandezza dei parametri individuati dai decreti ministeriali e nonostante i minori importi indicati per le controversie di lavoro e di previdenza, sembra potersi ovviare attraverso l’applicazione dell’ art. 4 del d.m. n. 55 cit. laddove consente sensibili riduzioni anche in ragione di condizioni soggettive, e senza dimenticare che si tratta appunto di parametri dai quali il giudice può motivatamente discostarsi, riduzioni che non sono quasi mai considerate, ovvero applicate, quando a soccombere è la parte privata.

Le controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria

Rammentiamo che con riferimento alle controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria la giurisprudenza purtroppo tuttora costante ritiene che sussista parziale soccombenza della parte privata idonea a giustificare la compensazione delle spese sia nella ipotesi in cui il requisito sanitario sia sopravvenuto alla domanda giudiziale sia nell’ipotesi in cui ancorché esso sia risultato sussistente da epoca anteriore a tale domanda questa abbia avuto ad oggetto il conseguimento della prestazione da data anteriore a quella in cui l’anzidetto requisito sanitario risulta essersi perfezionato per effetto dell’aggravamento (rilevante ex art. 149 disp. att. C.p.c.) successivo alla domanda amministrativa ma anteriore al procedimento giudiziale.

Il mantenimento di siffatta ormai radicata interpretazione pare porre a carico della parte privata – il più delle volte giustamente inconsapevole – un onere che non dipende se non in minima parte da comportamenti dello stesso, essendo il risultato di una valutazione tecnica da parte di un professionista che ha obbligo di terzietà e sul quale la parte privata può incidere in maniera molto limitata mantenendo, inoltre e di fatto, aperta la fase amministrativa del contenzioso in materia (per quanto rilevante e fondamentale essa possa essere) fase su cui l’Istituto erogatore ha tuttora un potere assoluto che esercita il più delle volte in senso negativo per i cittadini.

Se è vero che il rischio degli oneri processuali (anche eventualmente nella forma della compensazione delle spese) contribuisce ad una meditata ponderazione della situazione, utile a fini antinflattivi del servizio pubblico, la previsione del Contributo unificato per l’introduzione di una controversia è particolarmente ostica. Pur se si considera che l’entità del contributo appare ragionevole e da un altro lato se, in aderenza al testo dell’ art. 9, comma 1 bis cit. e al principio di capacità contributiva quale letto dalla Consulta.

Oneri processuali e sbarramento fiscale previsto in Manovra

Si tratta di argomento particolarmente delicato e oggetto di recente attenzione mediatica per lo sbarramento fiscale inizialmente previsto in Manovra che prevedeva l’estinzione del giudizio per mancato o parziale pagamento del contributo unificato nel momento in cui si deposita il ricorso introduttivo con rito civile.

Sembra ancora che all’interno del MEF alberghi un qualche processualista perverso che gode nell’introdurre trappole processuali nei posti più inattesi e soprattutto rivolte ai disabili e ai soggetti comunque più fragili, nella convinzione che vadano repressi (i loro diritti quando non loro stessi).

Si tratta infatti di una norma troppo rozza nella sua scrittura e collocazione sistematica.

Un totale strappo al diritto di difesa ed alla tutela dei diritti delle persone che provocato interventi da più parti fra il preoccupato e l’indignato.

Ciò perché lascia innanzitutto perplessi che la legge di bilancio – pur nella sua natura ormai eterogenea – possa arrivare ad introdurre disposizioni di carattere processuale, e di primaria importanza quale quella che introduce una nuova ipotesi di estinzione dei giudizi civili. Sorprende se non altro la superficialità con cui si mette mano a norme processuali (quand’anche per un intervento riguardante un unico articolo) senza sentire il bisogno di un preventivo confronto con l’accademia e con gli operatori, avvocati e giudici, del processo.

Ma è soprattutto il merito della disposizione che pare davvero sconcertante, come riporta gran parte della dottrina emersa a commento di una norma quantomeno disgraziata.

Il contributo unificato

È noto che, nel corso degli anni, il legislatore è più volte intervenuto per regolamentare il regime fiscale degli atti processuali civili. Giungendo in ultimo, con la citata legge finanziaria per l’anno 2000, ad introdurre il cd. contributo unificato (calcolato sul valore della controversia e delle eventuali domande ulteriori, riconvenzionali o nei confronti di terzi) in luogo dell’imposta di bollo sui singoli atti in precedenza vigente (disciplina oggi ricompresa nel testo unico sulle spese di giustizia, art. 9 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).
Tali misure sono sempre state accompagnate da critiche da più parti, visto che il diritto che la Costituzione riconosce a tutti, all’art. 24, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi viene, in qualche modo, condizionato dalla capacità contributiva e dall’adempimento di un onere tributario qual è il contributo unificato, qualificato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 73 dell’11 febbraio 2005) come una “entrata tributaria erariale”, finalizzata al finanziamento delle “spese degli atti giudiziari”.
E, tuttavia, le critiche non hanno mai determinato pronunce di illegittimità costituzionale, anche perché il legislatore finora non aveva mai ipotizzato sanzioni direttamente processuali per effetto di un omesso o incompleto pagamento del Contributo unificato, ma solo meccanismi di recupero forzoso; ed anzi, una circolare ministeriale (la n. 2 del 12 marzo 2002) espressamente evidenziava come fosse stata eliminata la sanzione della irricevibilità, prevista dalla norma originaria, per il caso di omesso pagamento del contributo, che si esponeva a rischi di illegittimità costituzionale.

L’accesso alla giustizia subordinato al pagamento di una tassa

Il medesimo autore già citato ritiene, condivisibilmente che di fronte alla sanzione di estinzione connessa al mancato o incompleto pagamento del Contributo unificato, parrebbe certa la rilevanza di un’eventuale (probabile) questione di legittimità costituzionale.

E pare davvero lesivo del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) subordinare l’accesso alla giustizia al pagamento di una tassa, confondendo così il piano fiscale, suscettibile di mettere in moto meccanismi di recupero e sanzionatori, con quello propriamente processuale finalizzato unicamente all’accertamento dei diritti. Si consideri che il “costo” del solo “accesso” al processo – per chi non possa avvalersi del patrocinio a spese dello Stato – può risultare davvero rilevante, così introducendo, col meccanismo della estinzione del giudizio in caso di omissione contributiva, una discriminazione su base reddituale tra quanti aspirino alla tutela dei propri diritti o interessi legittimi. Non è possibile accettare ancora quasi nel 2025, una simile confusione.

Silvia Assenato
Avvocato in Roma

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