I genitori della bambina invocano il risarcimento dei danni derivanti dalla omessa informazione sulla patologia cromosomica non diagnosticata in fase prenatale

“Presupposto indispensabile per l’apprezzamento e la conseguente risarcibilità di un pregiudizio discendente dalla lesione del diritto del paziente ad autodeterminarsi è che l’evento si ponga in correlazione causale con le sofferenze patite che non devono consistere in meri disagi o fastidi”, in tal senso Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n. 7385/21del 16 marzo 2021. La vicenda riguarda la richiesta di risarcimento danni dei genitori come conseguenza della nascita della loro bambina affetta da grave patologia cromosomica non diagnosticata in fase prenatale.

In sintesi secondo la Suprema Corte, si profilano le seguenti ipotesi:

  1. non è risarcibile un presunto danno quando nell’omessa informazione non sia dato scorgere alcun tipo di pregiudizio al di là della mera privazione del diritto di scegliere puramente fine a sé stessa;
  2. viceversa, l’istanza risarcitoria deve essere accolta quando il diritto all’autodeterminazione risulti il presupposto per il compimento di una pluralità di possibili scelte che l’omessa informazione ha impedito venissero assunte, costituendone l’antecedente causale foriero di conseguenze pregiudizievoli, e la cui lesione vada ad incidere oltre al principio di solidarietà nei riguardi della vittima e alla soglia minima di tollerabilità, cagionando un nocumento connotato del requisito della gravità.

I genitori della bambina invocano nei confronti dell’Azienda sanitaria la violazione del diritto all’autodeterminazione e il del danno patito dalla neonata a causa del ritardo con cui le sarebbero state diagnosticate le patologie.

I Giudici di merito, sia in primo grado che in appello, respingevano la domanda dei genitori.

Veniva escluso il risarcimento dei danni in ragione del fatto che la gestante non aveva mai manifestato la volontà dell’interruzione della gravidanza, ove edotta dalle circostanze menomanti relative al feto, e non aveva dimostrato la ricorrenza delle condizioni legittimanti l’interruzione volontaria della gravidanza.

Gli Ermellini ritengono il ricorso parzialmente fondato.

Secondo i ricorrenti la Corte d’Appello ometteva di considerare che la violazione del consenso informato in capo una donna in gravidanza incide non solo sulle sue scelte abortive, ma può anche avere altre conseguenze, in quanto la madre, se informata, avrebbe potuto scegliere di non abortire, ma avrebbe avuto anche la possibilità di prepararsi psicologicamente e materialmente alla nascita di un bambino con problemi, necessitante di accudimento, avrebbe consentito l’elaborazione del fatto da parte dei genitori, l’accettazione e la predisposizione di una diversa organizzazione di vita; avrebbero potuto programmare eventi chirurgici o cure tempestive per eliminare il problema o attenuarne le conseguenze.

La Corte ritiene non allineata alla giurisprudenza la decisione della Corte territoriale, laddove, “ove il danneggiato abbia allegato di aver subito un pregiudizio causalmente legato ex art. 1223 c. c. con l’omessa informazione, spetta al giudice accertare se il danno invocato abbia superato la soglia della serietà e gravità, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite nn. 26972-26975 del 2008 con le quali è stato affermato che il diritto deve essere inciso oltre un livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico, non essendo predicabile un danno in re ipsa. Presupposto indispensabile per l’apprezzamento e la conseguente risarcibilità di un pregiudizio discendente dalla lesione del diritto del paziente ad autodeterminarsi è che l’intervento si ponga in correlazione causale con le sofferenze patite che non consistano in meri disagi e fastidi, e in caso di esito positivo dar seguito alla richiesta risarcitoria”.

In buona sostanza, l’errore nel ragionamento della Corte d’Appello si è realizzato nel fatto di avere messo in relazione l’omessa informazione esclusivamente con l’interruzione della gravidanza, non tenendo conto della giurisprudenza che da tempo ha dato dimostrazione di considerare la consulenza diagnostica quale presupposto causale di una serie di conseguenze non circoscritte alla sola dimensione terapeutica in senso stretto, rimarcando il fatto che la richiesta di una diagnosi prenatale riveste caratteri plurifunzionali: la conoscenza delle condizioni di salute del feto si pone, quindi, quale antecedente causale di una serie di altre scelte di natura esistenziale, familiare, e non solo terapeutica.

Oltretutto, ricordano gli Ermellini, l’omessa informazione è solo in poche occasioni premessa causale della lesione del diritto alla salute, mentre è innegabile che la lesione del diritto di informazione dà luogo ad un danno non patrimoniale autonomamente risarcibile, ai sensi dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c. c., purché il danno lamentato sia causalmente collegato all’omessa informazione e varchi la soglia della gravità dell’offesa.

Ai fini del riconoscimento del danno, il danneggiato deve allegare che l’inadempimento dell’obbligo di informazione sia in relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse giuridico leso.

Non è sufficiente il verificarsi di un comportamento antigiuridico, ma deve sussistere l’evento causativo del danno in quanto lo scopo del risarcimento è quello di ristorare una perdita.

Avendo dimostrato i ricorrenti la lesione del diritto di prepararsi al trauma della nascita di una figlia affetta da gravi patologie, causalmente imputabile all’omissione informativa, la Corte territoriale doveva ristorare il danno.

In conclusione, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata con rinvio in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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